Niente “onda rossa”, Trump è il vero sconfitto dal voto

Glauco Maggi

11 Novembre 2022 - 09:16

L’onda rossa che molti si aspettavano alle elezioni di metà mandato non c’è stata e l’unico vero sconfitto è proprio Donald Trump. Un’analisi dei risultati delle midterm 2022.

Niente “onda rossa”, Trump è il vero sconfitto dal voto

C’è un titolo “di cronaca” che racchiude il senso delle elezioni di medio termine dell’8 novembre: “L’onda rossa che non c’è stata”, per descrivere le aspettative andate largamente deluse dei Repubblicani (i rossi negli Usa, mentre i Democratici sono blu). L’ottimismo di portarsi a casa un largo controllo della Camera dei deputati e almeno uno o due senatori in più degli attuali 50 (su 100) per raggiungere la maggioranza si è via via raffreddato nella notte del voto, e il più efficace nell’ammetterlo è stato il senatore Lindsey Graham, Repubblicano della Carolina del Sud, che alla Nbc ha detto “definitivamente non è un’onda Repubblicana, questo è maledettamente sicuro”.

Le speranze del Gop si erano gonfiate negli ultimi giorni della campagna per diversi sondaggi indipendenti che anticipavano uno storico ribaltone nel Congresso e nelle elezioni per i governatori (perfino quello di New York), un esito che era stato amplificate dall’eco dei giornali del mainstream che hanno usato la tattica difensiva classica di chi teme di perdere: abbassare al minimo le previsioni per il successo, così da poter celebrare come una vittoria la “non disfatta”. E così è andata.

Tradizionalmente il partito fuori dalla Casa Bianca fa incetta di seggi nelle elezioni di metà mandato di un neo-presidente: i Dem ne persero 63 nel 2010 con Obama, i Repubblicani una cinquantina nel 2018 con Trump. Stavolta quelli lasciati sul campo da Biden sono una frazione (i numeri finali non si avranno se non giorni dopo l’invio di questo commento a caldo), ma è rivelatore che lo Speaker in pectore Kevin McCarthy (Repubblicano della California), il designato sostituto di Nancy Pelosi se il Gop supera la quota di 218 seggi su 435, abbia annullato la festa notturna visto lo spoglio dei voti che non buttava affatto bene.

Per il Senato il titolo “di cronaca” si completerà con i dettagli degli eletti e degli sconfitti quando in Senato si chiuderanno i seggi, ossia il 6 dicembre, data prevista per il ballottaggio in Georgia tra i due sfidanti più votati che sono rimasti sotto il 50% (con il 2% andato al candidato libertario, e sono i voti che faranno da ago della bilancia). In Nevada e Arizona il conteggio va per le lunghe.

Ma oggi, più interessanti per la battaglia politica del prossimo biennio che sarà caratterizzato dalla sfida per la presidenza nel 2024, ci sono già i titoli “di prospettiva”. “Donald Trump esce sanguinante dal voto di medio termine” è il primo. “Ron DeSantis, è nata una stella” è il secondo. “Biden-Harris, ticket della disperazione per i Democratici“ è il terzo.

Donald Trump è il vero sconfitto delle midterm 2022

Trump, dunque, è il vero sconfitto dal voto. Ha fatto l’endorsement per decine di candidati, ma dal bilancio della sua influenza sull’elettorato repubblicano (e generale nel caso -ormai certo- della sua candidatura) vanno tolti tutti quelli che erano appoggiati e sostenuti anche dall’establishment del partito. A partire dal capo dei senatori Mitch McConnell, che Trump disprezza, ricambiato, e che Donald ha attaccato in varie occasioni. Troppo facile sostenere Marco Rubio in Florida, o lo stesso Ron DeSantis: non avevano bisogno di lui e hanno sfondato da soli. Contano solo i candidati che Trump ha adottato in proprio, spingendoli, nelle primarie, contro quei Repubblicani che non lo avevano seguito nella sua folle battaglia, sfociata nella vergogna del 6 gennaio a Capitol Hill, contro brogli non sostanziati da prove.

E qui gli esempi dei fallimenti di Trump si sprecano. In Pennsylvania il seggio, che era in mano a un Repubblicano che non si è ricandidato, è stato vinto dal Democratico John Fetterman, luogotenente governatore diventato celebre per l’ictus avuto in estate: nell’unico dibattito in Tv ha fatto pena umanamente, ma ai seggi ha sconfitto Mehmet Oz, medico, personaggio Tv senza esperienza e credibilità, con l’unica qualità di essere stato scelto da Trump e messo contro un Repubblicano a lui sgradito. In Michigan, la Dem Hillary Scholten, che nel 2020 era stata battuta dal repubblicano Peter Meijer per 53% a 47%, stavolta ha sconfitto il suo avversario John Gibbs, che era stato sostenuto alle primarie da Trump proprio per punire Meijer, che aveva votato in Congresso per l’impeachment di Trump dopo i fatti del 6 gennaio.

Questo è un caso di scuola su come perdere un seggio rosso, e va dato merito al Comitato Nazionale Democratico che in campagna aveva investito molto in appoggio di Gibbs, perché per il suo trumpismo radicale sarebbe stato un avversario più facile da battere. C’è chi ha accusato i Dem di usare la tattica sporca e ipocrita di spendere soldi per i repubblicani trumpiani, e contemporaneamente chiamare i Maga-repubblicani “semifascisti” (la definizione è di Biden). Tant’è, le elezioni non sono un pranzo di gala. Il terzo caso è quello del governatore della Georgia Brian Kemp, che ha sconfitto ancora, per 53,8% a 45,5% la democratica Stacey Abrams.

La Abrams, afro-americana, aveva perso anche 4 anni fa, e non ha mai accettato il verdetto, inscenando la protesta dei “voti soppressi” alle minoranze: di fatto aveva anticipato il Trump del 2020, ma nessuno se lo ricorda. Kemp, invece, era stato messo nel mirino da Trump, perché da governatore della Georgia aveva certificato la validità del voto presidenziale. L’ex presidente ha montato contro Kemp, per le primarie, un proprio candidato, che è stato però umiliato da Kemp: i georgiani non sono affatto affascinati da Trump, e infatti il senatore scelto dall’ex presidente, e che ha vinto le primarie, ha avuto 5 punti percentuali in meno di Kemp.

Cosa cambia con la vittoria di Ron DeSantis

La vittoria di Ron DeSantis è la pagina più promettente per il Gop: si è confermato governatore della Florida con 20 punti di distacco sul Democratico, e nei recenti sondaggi del suo Stato, tra i Repubblicani, ha superato lo stesso Trump. Il quale ha iniziato ad attaccarlo, ben sapendo che Ron è quello in grado di fronteggiarlo a testa alta nelle primarie dell’anno venturo. Giovane, anti-liberal per eccellenza sulle questioni dell’educazione e del ruolo dei genitori nel preservare i figli dal wokismo (sui temi sessuali e trans), da gestore della pandemia si è fatto la fama del difensore delle libertà personali e dell’economia.

Di Trump ha il piglio caratteriale, ma senza gli autogol e con nessuna ombra giudiziaria ed etica. L’ex presidente lo sa, e lo teme.

Sul fronte Democratico, c’è sollievo per lo scampato pericolo di una debacle senza appello. Il che rafforza Biden perché non lo spinge a un addio che aprirebbe le porte ad aria più fresca e più giovane. Il problema, di qui viene la “disperazione”, è che Kamala Harris, la vice naturale subentrante ha il 38% di popolarità, ma rivendica la ri-candidatura a vice se Biden si ripresenta, e la candidatura in proprio se Biden si ritira. E Biden, 80 anni, è il babbo di Hunter l’amico dei cinesi, e un presidente con il 56% di americani che disapprovano il suo operato e i tre quarti che non lo vogliono rivedere alla Casa Bianca nel 2024.

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