L’agenzia per Commercio e Sviluppo mette in guardia dalla fede cieca nel costo del denaro come argine all’inflazione, prospettando stagnazione. Mentre qui crolla la favola dell’indipendenza da Mosca
Se si scomoda l’ONU, vuol dire che la situazione è davvero seria. La United Nations Conference on Trade and Development (UNCTAD) ha infatti emanato un comunicato decisamente inusuale e allarmante a latere della presentazione del suo report annuale, nel quale sottolinea come una eccessiva contrazione monetaria potrebbe innescare un periodo di stagnazione e instabilità economica per alcune nazioni. Di più, ogni certezza riguardo la capacità delle Banche centrali di abbattere i prezzi attraverso una dipendenza da tassi di interessi più alti, senza che questo generi una recessione, è da considerarsi una scommessa imprudente.
The Fed and other central banks risk pushing the global economy into recession followed by prolonged stagnation, a U.N. agency warns, amid growing unease about rapidly rising borrowing costs https://t.co/HSnyrNOrdh
— The Wall Street Journal (@WSJ) October 3, 2022
Ovviamente, una mossa del genere è stata debitamente preparata, al fine di inviare il segnale senza che il mercato andasse però in over-reaction. E infatti, il titolo del report punta a prendere il discorso molto alla larga: Development prospects in a fractured world, di fatto una lunga dissertazione su come i Paesi più poveri potrebbero vedere il, proprio output economico contrarsi di qualcosa come 360 miliardi di dollari nei prossimi tre anni come conseguenza di tassi di interesse più alti.
C’è un problema, però. Al netto dell’ipocrisia terzomondista, l’ONU è scesa in campo per ben altro che la mera difesa dei Paesi in via di sviluppo, schiacciati da un Occidente alle prese con un’inflazione fuori controllo e che quindi spinge sull’acceleratore della normalizzazione monetaria senza troppa attenzione agli effetti collaterali. L’ONU si è mossa come extrema ratio di un sistema che, al netto delle crisi cicliche che innesca a tavolino per scadenzare gli stop-and-go dei cicli di QE, ora è talmente alle soglie delle perdita di controllo della situazione da necessitare lo stop di un’entità globalmente riconosciuta come morale.
Insomma, piano piano si fa largo la scusa del Terzo Mondo come vittima del fuoco amico di Fed e soci per bloccare un ciclo di rialzi che sta cominciando a fare danni. Reali. Ma qui. E questi due grafici
parlano chiarissimo, poiché comprendono e cristallizzano le dinamiche dei due comparti: quello obbligazionario, i cui costi di rifinanziamento sono letteralmente esplosi ovunque e quello azionario, rappresentato dal proxy in giallo dell’andamento dello Standard&Poor’s 500. Appare decisamente intuitivo il rischio: se Powell e soci non di fermano - subito - il trend è quello di un re-couple ulteriormente al ribasso verso la linea blu della massa monetaria M2. Insomma, ok essere contarian, ok puntare ai minimi ma qui il rischio è quello delle sabbie mobili.
E se l’ONU ha lanciato l’allarme a livello globale, come da sua prerogativa statutaria, ecco che invece l’ENI pare essere giunta al livello massimo di occultamento della realtà:
Gas, il 10% dovrà ancora arrivare dalla Russia. Eni: «Difficile essere fiduciosi per l’inverno» https://t.co/xg3GL6iGig
— Corriere della Sera (@Corriere) October 3, 2022
alla faccia della retorica governativa degli stoccaggi pieni e dell’ormai raggiunta indipendenza da Gazprom, il gigante energetico - facendo riferimento allo stop dei flussi tramite l’Austria, occorso sabato e non ancora sbloccato - ha dovuto gettare la spugna e ammettere che, comunque sia, il 10% del totale rappresentato dal gas del Cremlino che l’incidente ha messo a rischio potrebbe ulteriormente complicare una situazione nazionale che, in vista dell’inverno, non permette di essere ottimisti.
Con elegante gergo tecnico, ENI definisce quei flussi un contributo addizionale, quasi a volerne sminuire il valore per non distruggere intere settimane di retorica governativa. Ma subito dopo è costretta ad ammettere il peso fondamentale di quei 20 milioni di metri cubi al giorno venuti a mancare ormai da 48 ore. E per cui l’ambasciatore russo, Serghei Razov, è stato oggi ricevuto alla Farnesina in cerca di chiarimenti. I quali, apparentemente, devono essere stati tutt’altro che rassicuranti, perché alla totale non menzione dell’argomento da parte del ministero degli Esteri è invece seguita la drammatica e inusuale nota di ENI. Tutto sembra gridare di fermarsi, prima che sia tardi. Ma forse, lo è già.
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