Joe Biden annuncia di voler cancellare il debito universitario. Ecco perché l’operazione “forgiveness” è impraticabile e rischia di essere illegale.
In Italia le università sono gratis, in America costano un occhio della testa. Questa è una descrizione sommaria, ma serve a capire la diversa incidenza politica della fondamentale questione nelle due società.
In Italia ci sono pochissime università private, che hanno costi piuttosto elevati, ma sempre assai inferiori a quelli statunitensi, e anche per frequentare quelle pubbliche i genitori qualcosa pagano. Negli Stati Uniti, invece, le università statali pubbliche, per non parlare delle migliaia di college privati, hanno rette elevate non comparabili a quelle italiane, e di conseguenza pesano gravemente sul bilancio familiare, a tal punto che il prestito offerto dal governo a tutti gli studenti per pagarsi l’istruzione superiore è diventato un problema macro finanziario enorme.
Tanti sono gli indebitati, e tale è il volume accumulato dai cittadini universitari o ex universitari, da porre la voce dei loro debiti accanto a quelle ritenute rilevanti dalla Federal Reserve nel descrivere i rischi di “buchi” con effetto potenzialmente sistemico nella società americana: i prestiti studenteschi sono dietro i mutui per la casa (che valgono circa 18mila miliardi di dollari), ma davanti, come vedremo, ai prestiti personali finanziati con le carte di credito (890 miliardi, dato del secondo trimestre di quest’anno).
Il costo del corso quadriennale nei college è costantemente aumentato negli ultimi 30 anni: le rette delle università pubbliche, statali e municipali, sono infatti balzate mediamente, nel periodo, da 4.160 dollari a 10.740 all’anno, mentre nelle università private non profit le tariffe sono cresciute da 19.360 dollari a 38.070. Per i college di eccellenza, le Ivy League, le rette annue sono attorno ai 70mila dollari.
I dati medi sono ‘aggiustati’ per l’inflazione, ossia i dollari spesi oggi per le rette si mangiano il doppio in potere di acquisto di quanto gli studenti spendevano 30 anni fa.
La causa trainante dei costi crescenti sta proprio nel meccanismo dell’indebitamento. Le università sanno che il finanziamento agli studenti viene dalle casse pubbliche, e che esse non rischiano in proprio: quindi sono “incentivate”, oltre al resto, a ingigantire il corpo degli amministratori dediti alla gestione delle cause liberal (diversità, inclusione, ambientalismo etc) e a moltiplicare i corsi dall’impossibile mercato ma in linea con le tematiche woke.
All’aumentare dei costi è cresciuto l’indebitamento di quanti hanno fatto ricorso ai programmi federali per pagarsi la laurea. Purtroppo l’estensione del numero degli iscritti, illusione populista di dare un titolo a tutti credendo che sia la panacea delle diseguaglianze sociali (“il pezzo di carta” nella cultura italiana) non può che portare a conseguenze disarmanti.
«Il 40% di chi inizia a frequentare il college non lo finisce, e chi si laurea con voti scarsi, nell’ultimo quarto della sua classe, guadagna all’incirca lo stesso di chi si diploma alle scuole superiori», ha scritto l’economista Richard Vedder nel libro Far rivivere la promessa, uscito nel 2019. Nel 2020, secondo un’altra ricerca, 4 su 10 laureati al college hanno impieghi per i quali la laurea non è richiesta.
Ma ecco, in sintesi, le cifre che descrivono il fenomeno. Il totale dei prestiti agli studenti, comprensivi di quelli pubblici e di quelli privati, ammonta a 1750 miliardi di dollari, ma l’indebitamento con il governo federale pesa fino al 92%. I college pubblici e quelli privati hanno una quasi identica percentuale di debitori, il 55% i primi, il 57% i secondi. In numero assoluto, gli americani che devono ancora estinguere il loro debito universitario sono quasi 45 milioni.
Questa cospicua percentuale di cittadini che hanno contratto un debito con il governo federale per iscriversi e frequentare l’università si trova, ora, al centro dell’attenzione del presidente Joe Biden. Il perché è ovvio. Le elezioni di medio termine sono vicine, e il leader dei Democratici ha comunicato, il 24 agosto, che userà il potere della carica per cancellare con l’operazione forgiveness (perdono) una fetta importante dei debiti studenteschi in essere: dai 10mila ai 20 mila dollari a testa secondo il programma del prestito.
Per diversi milioni di indebitati, che si erano laureati molti anni fa e stavano pagando da tempo, si tratterà della cancellazione totale. Per tutti, comunque, sarà un regalo consistente. Così, Biden pensa di aiutare il suo partito in difficoltà, finanziando la sua “generosità” con i soldi dei contribuenti.
Biden ha una platea di elettori che, grazie alla sua munificenza, non dovranno più, dall’anno venturo, rifondere per intero (si tratta di 20 milioni di persone), o parzialmente (il resto, ossia altri 25 milioni) le somme.
Sembra un piano furbo, invece è un coacervo di passi falsi che danno ai Repubblicani, agli Indipendenti, e a non pochi Democratici, tanti argomenti critici da renderlo un’iniziativa inefficace, controproducente, e con ogni probabilità illegittima.
Infatti, il presidente non ha l’autorità legale per una generalizzata cancellazione dei debiti federali studenteschi attraverso un ordine esecutivo. Tempo fa lui stesso aveva ammesso di non poterlo fare, poiché solo il Congresso ha il cosiddetto “potere del borsellino”, quello di approvare le spese per ogni esigenza pubblica. E anche la stessa speaker della Camera Nancy Pelosi aveva ribadito, un anno fa, che il voto parlamentare era indispensabile per azzerare l’indebitamento.
Questa misura toglierebbe infatti alle casse dello Stato dei fondi di cui è già previsto l’arrivo nei bilanci futuri: in sostanza, sarebbe una spesa finanziata dalle tasse, e per un ammontare enorme, calcolato dal Budget Model della Penn Wharton (University of Pennsylvania) in 519 miliardi in 10 anni.
Biden non ha i voti in Senato, dove occorrerebbero 10 Repubblicani da aggiungersi ai 50 Democratici per formare la richiesta maggioranza qualificata di 60 voti, perciò se il presidente concretizza la sua intenzione rischia una causa legale.
Di americani che si sentono ingiustamente penalizzati ce ne sono milioni. La misura, di fatto, scaricherebbe il costo dello sconto, che favorisce una minoranza (i laureati con il debito in corso che hanno un reddito inferiore a 125mila dollari se fanno la dichiarazione individuale, o a 250mila se fanno la dichiarazione congiunta con il coniuge) a scapito del resto della popolazione.
Di questa stragrande maggioranza fanno parte coloro che hanno rinunciato al college non avendo voluto indebitarsi, coloro che si sono laureati senza farsi finanziare dalle casse federali o da enti privati e hanno pagato le rette aiutati dai genitori, coloro che si erano indebitati in passato e che hanno regolarmente rispettato l’impegno ripagando il dovuto.
Eticamente, il “perdono” di Biden creerà nel Paese una reazione opposta a quella, indubbiamente favorevole, dei beneficiari. Se questi ultimi fossero almeno tutti gente povera, bisognosa, il provvedimento sarebbe moralmente più accettabile, o meno abbietto. La motivazione portata da Biden, infatti, è che l’iniziativa aiuterebbe solo i poveri. Non è così: tra gli indebitati perdonati prevale la classe media e medio-alta, tanta gente istruita in un paese che abbonda di lavori: ci sono 11 milioni di posti offerti e non coperti, e la disoccupazione è al 3,7%.
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