Panetta e la condanna dell’Austerità (azzerati 500 mld di investimenti)

Guido Gennaccari

27 Aprile 2024 - 06:53

Negli ultimi due decenni l’economia della UE ha fatto eccessivo affidamento sulla domanda estera e ha penalizzato la domanda interna, al contrario degli Stati Uniti.

Panetta e la condanna dell’Austerità (azzerati 500 mld di investimenti)

La lectio magistralis del Governatore Panetta presso l’Università degli Studi Roma Tre titola: “Il futuro dell’economia europea tra rischi geopolitici e frammentazione globale”.

Molto interessanti alcuni punti salienti che spesso i politici non hanno il coraggio di fare emergere e di affrontare. Avendo già scritto in proposito quello che penso (più domanda interna, più investimenti pubblici e privati), che coincide con il pensiero del Governatore, lascio di seguito i passaggi più illuminanti secondo il sottoscritto, con qualche grafico eloquente.

1) La globalizzazione incontra resistenze in più paesi avanzati. Il malcontento riflette la percezione che essa provochi forti disuguaglianze; l’aumento delle importazioni provenienti da paesi a basso reddito e la delocalizzazione produttiva sono spesso considerati cause di impoverimento dei salari reali e del peggioramento delle opportunità di impiego per i lavoratori meno qualificati. Queste percezioni rispecchiano in qualche misura la coincidenza temporale tra la crescita del commercio internazionale e l’aumento delle disuguaglianze e sono in parte infondate. Dall’inizio degli anni novanta le disuguaglianze tra paesi si sono costantemente ridotte, mentre i divari di reddito all’interno dei paesi sono cresciuti. Tali divari riflettono tuttavia numerosi fattori, molti dei quali hanno poco a che fare con la globalizzazione. Ad esempio, il progresso tecnologico influenza le disparità retributive assai più della delocalizzazione produttiva o della partecipazione a catene globali del valore. Inoltre, la tendenza a trasferire all’estero fasi della produzione è dovuta principalmente ai miglioramenti nei trasporti e nelle telecomunicazioni piuttosto che alla liberalizzazione del commercio. [...]

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