Pensione a 63 o 64 anni nel 2023, si può fare: arriva la conferma dell’Inps

Simone Micocci

12 Luglio 2022 - 12:00

La riforma delle pensioni può essere sostenibile: ne dà conferma l’Inps individuando tre misure di flessibilità che non gravano particolarmente sui conti pubblici. Ma sarà il Governo a decidere.

Pensione a 63 o 64 anni nel 2023, si può fare: arriva la conferma dell’Inps

Passi avanti per le nuove regole di accesso alla pensione nel 2023.

Ci sono buone notizie per chi spera nell’introduzione di nuove misure di pensionamento anticipato: il prossimo anno potrebbero esserci delle valide alternative alle regole fissate dalla riforma Fornero, mai cancellata negli anni neppure dalla parentesi Quota 100.

Nel dettaglio, sembra che il Governo stia ragionando sulla possibilità di consentire il pensionamento già all’età di 63 o 64 anni, oltre a confermare altre misure di flessibilità già esistenti come l’Ape Sociale e l’Opzione Donna.

Di queste misure se ne legge nel Rapporto annuale dell’Inps, all’interno del quale vengono messi alla luce i costi che lo Stato dovrà sostenere qualora dovesse decidere di attuarle. La notizia è che si tratta di pochi miliardi di euro, cifre sostenibili e che non mettono a rischio la stabilità del sistema pensionistico italiano.

Un report che arriva a poche ore dall’incontro programmato tra Governo e sindacati, nel quale si dovrebbe parlare anche di riforma delle pensioni.

Non sembrano tramontate, dunque, le possibilità che nel 2023 si possa andare in pensione anche con altre misure differenti da quelle individuate dalla legge Fornero del 2011. Ma ovviamente, per limitare i costi, chi anticipa l’accesso alla pensione deve mettere in conto una o più penalizzazioni.

Detto ciò, vediamo come funzionano queste misure e quale sarebbe il prezzo da pagare per andare in pensione in anticipo.

Pensione a 64 anni nel 2023: le due alternative all’opzione contributiva

Oggi esiste già una misura che consente di andare in pensione all’età di 64 anni: si tratta dell’opzione contributiva della pensione anticipata, riservata a coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il 1° gennaio 1996.

Tale opzione, consente di andare in pensione a 64 anni e con 20 anni di contributi, ma solo quando l’assegno è pari o superiore a 2,8 volte l’importo dell’assegno sociale. A tal proposito, l’Inps suggerisce di scendere a 2,2 volte tale importo, così da ampliarne la platea.

A tale opzione se ne potrebbero affiancare altre due, con la differenza che a queste potrebbero accedere anche coloro che rientrano nel calcolo misto della pensione, avendo iniziato a lavorare già prima dell’1 gennaio 1996.

Nel dettaglio, la prima ipotesi è quella di un’uscita a 64 anni con almeno 35 anni di anzianità contributiva, a condizione di aver maturato un importo della pensione pari almeno a 2,2 volte l’importo dell’assegno sociale, quindi a circa 1.030 euro mensili. Importo che tuttavia bisognerà raggiungere con il ricalcolo della pensione interamente con il metodo contributivo.

Il tutto avrebbe un costo massimo di 3,7 miliardi nel 2029, per poi scendere.

La seconda ipotesi riguarda l’uscita a 64 anni di età e con 35 anni di contributi, sempre a patto di un assegno pensionistico pari ad almeno 2,2 volte l’assegno sociale, ma accettando un ricalcolo della quota retributiva della pensione, la quale sarebbe ridotta di un fattore “pari al rapporto tra il coefficiente di trasformazione corrispondente all’età di uscita e il coefficiente relativo all’età della vecchiaia”.

Per meglio dire, per ogni anno di anticipo ci sarebbe un taglio del 3% della quota retributiva. Considerando che stiamo parlando di un anticipo di tre anni, dai 67 ai 64 anni, ne risulterà una decurtazione del 9%. Una misura, questa, che costerebbe al massimo 5 miliardi di euro l’anno, picco raggiunto nel 2030, per poi scendere.

Pensione a 63 anni anticipando la quota contributiva

La terza opzione avanzata dall’Inps riguarda il pensionamento a 63 anni di età e con 20 anni di contribuzione, a patto di avere la parte di pensione calcolata con il contributivo almeno superiore a 1,2 volte l’assegno sociale (quindi circa 562 euro).

Tuttavia, al momento del pensionamento l’interessato andrebbe a percepire solamente la quota contributiva della pensione, mentre l’altra, calcolata secondo le regole dettate dal retributivo, verrebbe liquidata al raggiungimento dei 67 anni.

Una misura che nel 2029 raggiungerebbe il picco di 2,5 miliardi di euro, per poi scendere.

Pensione con Ape Sociale ed Opzione Donna verso la conferma

Nelle ultime ore è arrivata la conferma del ministro del Lavoro, Andrea Orlando, riguardo a misure come l’Ape Sociale e l’Opzione Donna.

Per entrambe si vociferava la possibilità di uno stop nel 2023, ma a quanto pare non sarà così: come spiegato da Orlando, infatti, si tratta di due misure su cui il Governo intende puntare ancora.

Ecco quindi che salgono le quotazione di una proroga per l’Ape Sociale, come pure di un’estensione dei termini entro cui bisogna maturare i requisiti per l’accesso a Opzione Donna (oggi la scadenza è fissata al 31 dicembre 2021).

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