Hai tra i 33 e i 43 anni? Rischi di andare in pensione molto più tardi rispetto a oggi, e con un assegno più basso.
Rispondere alla domanda su quando andrà in pensione chi è nato tra gli anni ‘80 e ‘90 non è semplice, in quanto ci sono una serie di variabili che potrebbero cambiare il corso degli eventi.
Una cosa è certa: chi è nato tra gli anni ‘80 e ‘90, e oggi ha quindi un’età tra i 33 e i 43 anni, andrà in pensione dopo i 70 anni, a meno che nel frattempo non dovessero esserci interventi governativi volti a modificare il nostro sistema pensionistico.
D’altronde, qualche anno fa (era il 2015) fu l’Inps stessa a lanciare un allarme per i nati negli anni ‘80, ponendo l’attenzione sul fatto che questi potrebbero andare in pensione dopo i 75 anni e con assegni molto più bassi rispetto a oggi. Tanto che, nel rapporto commissionato dall’allora presidente dell’Istituto, Tito Boeri, si legge che questi rischiano di percepire una pensione d’importo inferiore al 25% rispetto a chi è nato nel 1945, tenendo anche conto del fatto che l’assegno verrà percepito per molto meno tempo.
E per chi è nato negli anni ’90 la situazione potrebbe essere persino peggiore. La causa di tutto ciò è da individuare in quanto successo tra gli anni 1996 e 2011, quando sono intervenute due riforme, la Dini e la Fornero, che hanno modificato radicalmente il sistema pensionistico italiano, sia per quanto riguarda l’accesso che per il calcolo dell’assegno.
Vediamo, analizzando le regole attuali, qual è la previsione per il futuro - che rischia di essere poco roseo - per chi ha un’età compresa tra i 33 e i 43 anni.
Pensione oggi a 67 anni, ma…
Come prima cosa è bene precisare che coloro che sono nati tra gli anni ‘80 e ‘90 sono da considerare dei contributivi puri, in quanto non avendo contributi maturati prima del 1° gennaio 1996 hanno l’intero assegno di pensione calcolato con le regole dettate dal regime contributivo.
E ciò avrà conseguenze non solo per l’importo della pensione, che rischia di essere più basso, ma anche sull’accesso alla stessa.
I contributivi puri, infatti, possono andare in pensione oggi ricorrendo a una delle seguenti opzioni:
Opzione per il pensionamento | Età | Contributi | Importo dell’assegno |
---|---|---|---|
Di vecchiaia | 67 anni | 20 anni | Pari almeno a 1,5 volte l’assegno sociale |
Di vecchiaia contributiva | 71 anni | 5 anni | - |
Anticipata | - | 42 anni e 10 mesi (uomini) e 41 anni e 10 mesi (donne) | - |
Anticipata contributiva | 64 anni | 20 anni | Pari almeno a 2,8 volte l’assegno sociale |
Va detto che questi requisiti ogni 2 anni vengono adeguati alle variazioni delle aspettative di vita. Nel 2023 la pandemia, che ha ridotto sensibilmente questo parametro, ci ha risparmiato un nuovo innalzamento dei requisiti per l’accesso alla pensione, ma nei prossimi anni non sarà così.
Guardando le stime Istat, infatti, ne risulta che quando i nati nel 1980 compiranno 67 anni, quindi tra il 2047 e il 2056, l’età anagrafica per l’accesso alla pensione di vecchiaia potrebbe essere molto diversa rispetto a oggi, in quanto pari a:
- a 69 anni e 5 mesi nel 2047;
- a 69 anni e 7 mesi nel 2049;
- a 69 anni e 9 mesi nel 2051;
- a 69 anni e 11 mesi nel 2053;
- a 70 anni e 1 mese nel 2055.
Rispetto a oggi, quindi, potrebbe esserci l’incremento di circa 3 anni per l’accesso alla pensione e l’adeguamento riguarderebbe anche le altre opzioni di pensionamento. Ad esempio, per l’accesso alla pensione di vecchiaia contributiva si rischia di aspettare fino a 74 anni, mentre per la pensione anticipata potrebbero essere richiesti quasi 45 anni di contributi (per gli uomini).
Ancora peggio andrebbe ai nati tra il 1990 e il 1999, che compiranno 67 anni tra il 2057 e il 2066 quando l’età anagrafica per andare in pensione potrebbe essere così aumentata:
- a 70 anni e 3 mesi nel 2057;
- a 70 anni e 5 mesi nel 2059;
- a 70 anni e 7 mesi nel 2061;
- a 70 anni e 9 mesi nel 2063;
- a 70 anni e 11 mesi nel 2065;
- a 71 anni e 1 mese nel 2067.
Di questo passo, un nato nel 1990 rischia di andare in pensione solamente nel 2060, a patto poi che ne soddisfi il requisito economico. Come visto sopra, infatti, ai contributivi puri che accedono alla pensione di vecchiaia viene chiesto un assegno il cui importo non deve essere inferiore a 1,5 volte l’assegno sociale, requisito che con il calcolo contributivo della pensione potrebbe non essere semplice da soddisfare.
Con che assegno?
Il problema riguarda anche l’importo dell’assegno, visto che questo verrà calcolato interamente con il sistema di calcolo contributivo dove tutti i contributi maturati dal lavoratore vengono trasformati in pensione applicando un certo coefficiente, anche questo determinato ogni 2 anni in base all’andamento delle aspettative di vita.
E poco importa se nel 2023 questi coefficienti sono stati rivisti al rialzo: si è trattato di una situazione straordinaria dovuta dallo scoppio della pandemia. Con il ritorno alla normalità, e con le speranze di vita che riprenderanno a salire, il trend a cui abbiamo assistito dal 1996 al 2022, dove ogni 2 anni i coefficienti sono stati rivisti al ribasso, riprenderà regolarmente.
Il rischio, quindi, è che quando i nati tra il 1980 e il 1999 potranno andare in pensione ci saranno dei coefficienti di trasformazione molto penalizzanti, senza contare poi che ci saranno persone che, a causa della crisi del mercato del lavoro a cui abbiamo assistito in questi anni, non avranno montanti contributivi elevati.
A tal proposito, l’Inps in un rapporto del 2015 aveva stimato una pensione più bassa del 25% rispetto ai nati nel 1945, con lo svantaggio che i contributivi puri non godono neppure di strumenti, come l’integrazione al trattamento minimo, che garantiscono un importo minimo per vivere.
Un problema di cui le istituzioni sono ben a conoscenza, tant’è che periodicamente si parla di pensione di garanzia, ossia di prevedere una serie di strumenti volti a tutelare i contributivi puri da ciò che potrebbe succedere alla data del loro pensionamento.
L’ultima a promettere un tale intervento è stata Giorgia Meloni, che proprio nei prossimi giorni - il 19 gennaio c’è il primo incontro - inizierà un confronto con i sindacati per procedere a una riforma strutturale del sistema pensionistico. Vedremo se la pensione di garanzia, di cui la presidente del Consiglio ne ha parlato anche nel discorso d’insediamento alle Camere, sarà o meno oggetto di discussione.
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