Avere un contributo settimanale versato entro il 31 dicembre 1995 non è solo un dettaglio. Ecco come incide sulla data di accesso alla pensione.
Quando si pianifica l’accesso alla pensione bisogna prestare attenzione a ogni singolo dettaglio. Può succedere, infatti, che si ritiene di aver soddisfatto tutti i requisiti richiesti per il collocamento in quiescenza quando invece non è così. Ed ecco quindi che l’Inps respinge la domanda, obbligando il lavoratore a rimandare la data del pensionamento che, in alcuni casi, non avverrà mai vista l’impossibilità di raggiungere i requisiti minimi richiesti.
A tal proposito, uno dei dettagli a cui fare attenzione quando si fissa la data del pensionamento riguarda l’anzianità assicurativa, ossia la data in cui il lavoratore ha iniziato a versare contributi utili ai fini previdenziali. Anche una sola settimana, infatti, può fare la differenza. Nel dettaglio, per poter accedere a determinate agevolazioni per il pensionamento serve aver versato almeno un contributo settimanale entro il 31 dicembre 1995, data che ha segnato il passaggio dal regime retributivo a quello contributivo.
A differenza di quanto si possa pensare, infatti, ricadere nell’uno o nell’altro regime non incide solamente sul sistema di calcolo: avere almeno un contributo settimanale versato nel retributivo, infatti, permette di andare in pensione senza guardare all’importo dell’assegno maturato, come pure riconosce la possibilità - per chi ne soddisfa i requisiti - di uno sconto di 5 anni sul requisito contributivo.
Pensioni, perché un contributo settimanale versato entro il 31 dicembre 1995 non è solo un dettaglio
Oggi l’accesso alla pensione di vecchiaia si raggiunge all’età di 67 anni, con 20 anni di contribuzione. Questi requisiti valgono per tutti i lavoratori, indipendentemente dal periodo in cui risultano versati i contributi.
Tuttavia, per chi non può vantare neppure un contributo settimanale entro la data del 31 dicembre 1995 si aggiunge un ulteriore requisito. Si guarda infatti anche all’importo dell’assegno maturato, il quale deve essere almeno pari al valore annuo dell’Assegno sociale, 538,68 euro nel 2025. Non raggiungere questa soglia impedisce quindi di andare in pensione a 67 anni, rimandando il collocamento in quiescenza in un secondo momento: un problema non da poco, specialmente se consideriamo che per molti l’alternativa è rappresentata dall’opzione contributiva della pensione di vecchiaia il cui diritto matura all’età di 71 anni (con soli 5 anni di contributi e senza la richiesta di alcun requisito economico).
E non è tutto. Avere almeno un contributo settimanale versato entro la suddetta scadenza dà diritto alla possibilità di accedere alle deroghe Amato per la pensione di vecchiaia, le quali scontano di 5 anni il requisito contributivo richiesto. In poche parole bastano 15 anni di contributi, anziché 20 anni, per poter andare in pensione all’età di 67 anni. Serve però soddisfare altri requisiti per potervi ricorrere:
- la prima deroga Amato, ormai riservata a pochissimi lavoratori, richiede che tutti i 15 anni di contributi debbano essere versati entro il 31 dicembre 1992;
- la seconda deroga Amato, invece, richiede che il lavoratore abbia fatto richiesta - e ottenuto l’autorizzazione dall’Inps - per il versamento volontario dei contributi entro la scadenza del 31 dicembre 1992. Non è invece richiesto l’effettivo versamento dei contributi;
- infine la terza deroga Amato, riservata a chi per almeno 10 anni ha maturato meno di 52 settimane contributive. Un’agevolazione pensata per i lavoratori discontinui, oppure per chi avendo lavorato per gran parte del tempo con orario part-time non ha guadagnato abbastanza per il pieno riconoscimento di una settimana contributiva.
E ancora, non è un dettaglio avere almeno una settimana contributiva versata entro il 31 dicembre 1995 neppure per i lavoratori precoci, ossia coloro che entro il compimento dei 19 anni di età potevano vantare almeno 12 mesi di contributi. Questi - se disoccupati, invalidi civili, caregiver o lavoratori gravosi - possono andare in pensione indipendentemente dall’età anagrafica al raggiungimento dei 41 anni di contribuzione (invece dei 42 anni e 10 mesi solitamente richiesti per la pensione anticipata). Come anticipato, però, almeno un contributo settimanale deve riferire al periodo antecedente al 31 dicembre 1995, altrimenti l’accesso alla cosiddetta Quota 41 è precluso.
Non è un dettaglio neppure per l’importo della pensione
C’è poi un ulteriore chiarimento da fare riguardante l’importo della pensione. Dovete sapere, infatti, che oggi solo coloro che hanno almeno un contributo settimanale versato entro il 31 dicembre 1995 hanno diritto all’integrazione valida al raggiungimento dell’importo minimo della pensione.
Nel dettaglio, oggi il valore della pensione minima è fissato a 603,40 euro mensili. Ciò significa che quando l’importo calcolato dall’Inps è più basso di questa soglia spetta un’integrazione tale da assicurare almeno il valore minimo, sempre a patto di soddisfarne i requisiti però (ad esempio l’assenza di altri redditi). Tuttavia, questa integrazione non spetta ai cosiddetti contributivi puri, ossia a coloro che hanno iniziato a versare contributi a decorrere dall’1 gennaio 1996: questi, quindi, devono “accontentarsi” dell’importo liquidato, in quanto non gli spetta alcuna integrazione.
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