Pensioni, ma alla fine cosa ne sarà della legge Fornero nel 2025?

Simone Micocci

31 Ottobre 2024 - 10:22

La legge di Bilancio 2025 è riuscita a cancellare la riforma Fornero come aveva promesso Matteo Salvini? Assolutamente no.

Pensioni, ma alla fine cosa ne sarà della legge Fornero nel 2025?

Con la legge di Bilancio 2025 il governo era atteso alla resa dei conti rispetto a quelle che erano state le promesse elettorali fatte sul fronte pensioni dove due degli alleati di coalizione di Centrodestra, Lega e Forza Italia, avevano posto degli obiettivi più che ambiziosi: la cancellazione della legge Fornero e l’aumento delle pensioni minime a 1.000 euro.

Di quest’ultima abbiamo già parlato: la legge di Bilancio 2025 infatti si limita ad aggiungere un incremento complessivo di appena 3 euro a quanto invece riconosciuto dalla rivalutazione effettuata negli ultimi anni (che ci sarebbe stata a prescindere dal governo Meloni). Adesso è invece il momento di fare un bilancio su quanto fatto per le regole di accesso alla pensione, così da fare chiarezza su cosa ne sarà della legge Fornero nel 2025.

Una riforma che come più volte abbiamo avuto modo di spiegare disciplina la gran parte delle regole di accesso alla pensione in Italia, oltre a stabilire che ogni due anni età anagrafica, o contributi previdenziali, devono essere adeguati alle speranze di vita. Ed è proprio per la portata della misura che cancellarla è quasi impossibile.

Pensioni e legge di Bilancio 2025

Le regole per andare in pensione nel 2025 sono le stesse di quelle previste nel 2024, con qualche eccezione come lo sconto di ulteriori 4 mesi sull’età pensionabile per le donne con almeno 4 figli. Poca cosa, così come lo è il fatto che ai fini della valutazione del requisito economico richiesto per l’accesso alla pensione anticipata contributiva a 64 anni si terrà conto anche della rendita garantita dal fondo per la pensione complementare alla quale eventualmente si risulta iscritti.

Tolto questo nulla di nuovo, per quanto comunque il governo abbia il merito di aver confermato l’Ape Sociale, Opzione Donna e Quota 103. Ma ci sono comunque degli aspetti da sottolineare.

Partiamo dall’anticipo pensionistico conosciuto come Ape Sociale, introdotto dai governi di centrosinistra. Una misura che nonostante la scadenza annuale non è mai stata in discussione dal momento che si rivolge a quei lavoratori più “fragili” che necessitano di una maggior tutela. La conferma dell’Ape Sociale non è quindi una grande novità, specialmente se consideriamo che lo scorso anno lo stesso governo Meloni ha incrementato di 5 mesi il requisito anagrafico richiesto, portandolo a 63 anni e 5 mesi.

Così come non rappresenta una valida alternativa alla legge Fornero Opzione Donna, misura esistente già prima del governo Meloni ma che quest’ultimo ha riformato a tal punto da limitarlo a poche lavoratrici. Prima dell’avvento del governo di Centrodestra, infatti, a Opzione Donna potevano accedere le lavoratrici che avevano compiuto 58 anni (59 anni nel solo caso delle autonome), mentre oggi serve aver compiuto 61 anni con la possibilità di uno sconto di 12 mesi per figlio (fino a un massimo di 2 anni). Inoltre, il fatto che Opzione Donna sia stata circoscritta alle lavoratrici invalide, caregiver o licenziate da grandi aziende (per le quali il pensionamento avviene comunque a 59 anni, indipendentemente dal numero di figli), mantenendo tra l’altro il ricalcolo contributivo per chi vi accede, non ha fatto altro che limitare la platea a poche migliaia di lavoratrici.

Una piccola percentuale di quelle che effettivamente vanno in pensione.

Semmai l’unica misura davvero a firma del governo Meloni è quella Quota 103 che consente di andare in pensione all’età di 62 anni con 41 anni di contributi, per quanto preveda un ricalcolo interamente contributivo della pensione rendendola così meno attrattiva. Va detto che l’intenzione del governo, o almeno di una parte, era di eliminare il requisito anagrafico passando a Quota 41 per tutti, ma le risorse limitate non hanno permesso di arrivare a un tale traguardo.

Alla fine cosa ne sarà della legge Fornero nel 2025?

Anche nel 2025 il governo ha quindi fallito in uno degli obiettivi che si era posto da sola, dal momento che la legge Fornero non viene assolutamente cancellata o superata, come tra l’altro era preventivabile.

Come abbiamo più volte sottolineato, infatti, il risparmio garantito dalla riforma Fornero è importante e non rinunciabile. Anzi, dall’Europa arriva anche il monito a mettere un freno a quelle misure di flessibilità che riducono l’età pensionabile, tanto che il governo ha promesso nel recente Documento programmatico di bilancio che avrebbe valutato misure tali da “incentivare le persone a restare per più tempo al lavoro”.

E così è stato con la conferma del bonus Maroni, come pure la possibilità per i dipendenti pubblici di restare al lavoro fino a 70 anni (nella riserva del 10% delle nuove assunzioni).

La legge Fornero quindi non cambia e se nel 2025 non porterà a un aumento dell’età pensionabile non è merito del governo Meloni quanto del fatto che lo scoppio della pandemia ha frenato la crescita delle speranze di vita. Per il prossimo anno non è stata infatti rilevata una variazione tale da comportare un aumento dell’età pensionabile: se ne riparlerà nel 2027.

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