La legge Fornero contiene un “errore evidente” secondo Alberto Brambilla, presidente di Itinerari previdenziali.
C’è un “errore” della riforma Monti-Fornero che andrebbe corretto entro la fine dell’anno: ne è certo Alberto Brambilla, presidente di Itinerari previdenziali, che in queste ore ha commentato i dati del XII Rapporto sul bilancio del sistema previdenziale italiano, il quale restituisce una fotografia dettagliata dello stato del nostro sistema pensionistico.
A tal proposito, dal Rapporto non emerge alcun allarme per la sostenibilità del sistema previdenziale, il quale tuttavia poggia su un equilibrio sottile che per essere mantenuto nel tempo avrà bisogno di “scelte coraggiose”. Servirà infatti affrontare il problema dell’andamento demografico, visto che in futuro il rapporto tra lavoratori e pensionati si assottiglierà sempre di più. Senza dimenticare poi che con l’invecchiamento della popolazione è sempre maggiore il peso dell’assistenza sul sistema pensionistico.
Alla luce di questa situazione, ad esempio, Brambilla ritiene che oltre a “cancellare le tante deroghe previste dalla riforma Fornero”, non bisognerà commettere l’errore di rinunciare all’adeguamento dell’età pensionabile, descritto come uno “stabilizzatore fondamentale e irrinunciabile” del sistema.
Ed è proprio sull’adeguamento tra requisiti della pensione e speranze di vita che Brambilla ha individuato un “evidente errore” commesso dal governo Monti nella riforma del 2011, per il quale il governo ha comunque a disposizione ancora un po’ di tempo per correggerlo.
Qual è l’errore della legge Fornero che il governo Meloni dovrà assolutamente risolvere
Come noto, i requisiti per l’accesso alla pensione vengono aggiornati ogni due anni in base alle speranze di vita, come stabilito dalla legge Fornero. Un meccanismo voluto proprio per garantire stabilità al sistema previdenziale: se le aspettative di vita aumentano, infatti, cresce anche il periodo in cui una persona è a carico del sistema previdenziale. Per questo motivo viene invece stabilito che quando si allunga l’aspettativa di vita vale lo stesso per i requisiti di accesso alla pensione. Vale dunque il principio che se si vive per più tempo si dovrà lavorare di più.
Questa è la ragione per cui già nel 2027 i requisiti per l’accesso alla pensione potrebbero cambiare. Ed è lo stesso motivo per cui nei giorni scorsi è scoppiata la polemica nei confronti dell’Inps “colpevole” di aver aggiornato il proprio simulatore per la pensione dando per scontato che tra qualche anno ci sarà un aumento di 3 mesi dell’età pensionabile.
Un meccanismo a cui - secondo Alberto Brambilla - non dovremo assolutamente rinunciare, nonostante da parte della maggioranza sia già stato detto di voler trovare un modo per scongiurare l’aumento. È proprio questo meccanismo, infatti, a garantire sostenibilità al sistema previdenziale, rappresentando un vero e proprio “stabilizzatore”.
Tuttavia, c’è un errore commesso dalla riforma Monti-Fornero, ossia l’aver stabilito che l’adeguamento delle speranze di vita si applichi anche nei confronti della pensione anticipata, quella misura con cui si smette di lavorare indipendentemente dall’età anagrafica una volta raggiunti i 42 anni e 10 mesi di contributi, un anno in meno per le donne.
Come spiegato da Brambilla, infatti, “l’ultimissima polemica scatenata dall’aggiornamento del simulatore Inps ha in realtà riguardato l’anzianità contributiva richiesta per la pensione anticipata”. Il problema è che se da una parte ha assolutamente senso legare il requisito anagrafico all’andamento delle speranze di vita, dall’altra non lo ha l’aggancio dell’anzianità contributiva. Tanto che lo definisce un “evidente errore della riforma Monti-Fornero”, auspicando che il governo lo corregga già con la prossima legge di Bilancio al fine di sanare questa stortura.
Perché Brambilla ha ragione
Il problema sollevato da Brambilla riguarda l’assurdità di collegare l’anzianità contributiva all’aspettativa di vita, un aspetto che lui definisce un “errore evidente” della riforma Monti-Fornero. Ma perché questa scelta è così criticata?
La pensione anticipata nasce per favorire chi ha iniziato a lavorare presto e ha accumulato un numero significativo di anni di contributi, spesso superiore alla media. Si tratta di persone che, in molti casi, hanno svolto lavori gravosi e che meritano il diritto di ritirarsi prima, avendo già dato un lungo contributo al sistema previdenziale. Collegare l’anzianità contributiva all’aspettativa di vita, però, crea una stortura evidente.
L’aspettativa di vita è solitamente utilizzata per adeguare l’età pensionabile, partendo dal presupposto che, vivendo più a lungo, si possa lavorare per più anni. Tuttavia, l’anzianità contributiva non riguarda l’età, ma il numero di anni effettivi di lavoro. Questo significa che, se la speranza di vita aumenta, anche i requisiti contributivi si alzano, costringendo chi ha iniziato a lavorare presto a farlo ancora più a lungo. È un controsenso, perché penalizza proprio quei lavoratori che hanno iniziato a contribuire al sistema previdenziale prima di altri.
In pratica, un meccanismo che dovrebbe essere pensato per riconoscere e premiare il lungo lavoro dei precoci finisce per trasformarsi in una punizione. Per questo, Brambilla sottolinea la necessità di correggere questa stortura: distinguere l’età pensionabile dall’anzianità contributiva è fondamentale per rendere il sistema più equo e rispettare il senso originario della pensione anticipata.
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