Nessun aumento sulle pensioni in pagamento a maggio, solo le solite trattenute. Il prossimo incremento è atteso a luglio (e potrebbe essercene un altro ad agosto).
Ci sono giornali che periodicamente annunciano un aumento della pensione pagata il mese successivo, dando speranza a tutti quei pensionati che sperano in un incremento dell’importo percepito.
Possiamo immaginare qual è lo scopo di queste notizie: d’altronde quale miglior argomento per poter attirare quanti più pensionati a leggere quello specifico articolo. Ma a che prezzo? Personalmente riteniamo che la qualità dell’informazione non possa mai essere messa in secondo piano, per questo motivo dobbiamo per forza intervenire per fare chiarezza su cosa effettivamente ci attende sulla pensione in pagamento a maggio.
Differentemente da quanto si legge, infatti, non sono in programma ulteriori aumenti della pensione rispetto a quanto già corrisposto nei mesi scorsi, salvo casi particolari ovviamente. Potrebbero esserci, infatti, pensionati che per una serie di problemi non hanno ancora goduto degli aumenti scattati nel 2024, dalla rivalutazione alle conseguenze della nuova Irpef, ma siamo nell’ordine delle centinaia, o persino delle decine.
Generalizzare annunciando aumenti per tutti, quindi, non è solo sbagliato, è anche una pratica scorretta che poco ha a che fare con i principi deontologici del giornalismo.
Pensione maggio, perché ci sono solo cattive notizie
La prima “cattiva” notizia è che la pensione di maggio viene pagata con un giorno di ritardo, dovuto al fatto che il primo del mese è festivo (festa dei lavoratori) e per questo motivo non è considerato bancabile. Per l’arrivo dell’assegno, quindi, bisognerà attendere fino a giovedì 2 maggio.
Oltre a ciò, c’è il fatto che non ci sono aumenti ma solo trattenute sull’assegno. Dalla ritenuta mensile Irpef, che per alcuni pensionati come succede ormai da qualche mese avviene in misura ridotta per effetto della riforma fiscale finanziata dall’ultima legge di Bilancio, alle addizionali regionali e comunali in saldo per il 2023 e in acconto (ma solo quelle comunali) per il 2024.
Nessun aumento: quelli annunciati da gran parte della stampa sono già stati applicati nei mesi scorsi e per questo motivo non è prevista alcuna differenza rispetto agli ultimi cedolini.
Quali sono gli aumenti annunciati e perché non ci saranno
Sono tre le ragioni che quest’anno hanno comportato un aumento della pensione rispetto a quanto percepito nel 2023:
- in primis la rivalutazione degli assegni, per la quale è stato utilizzato un tasso del 5,4% con aliquote ridotte per chi ha una pensione superiore a 4 volte il trattamento minimo. Gli aumenti della rivalutazione sono scattati già a gennaio, a febbraio in alcuni casi;
- per le pensioni che hanno un importo inferiore al trattamento minimo, 598,61 euro quest’anno, si applica una seconda rivalutazione, straordinaria, voluta dal governo. Garantisce un incremento del 2,7% (mentre nel 2023 era dell’1,5%), assicurando così un piccolo aumento ulteriore dell’assegno che nel migliore dei casi può arrivare fino a 614,77 euro. Anche questa rivalutazione è già stata applicata sugli assegni;
- in terzo luogo, come anticipato, sulle pensioni in pagamento quest’anno si pagano meno imposte, ma solo quando l’importo annuo è superiore a 15 mila euro e inferiore a 50 mila. Per la parte compresa tra i 15 mila e i 28 mila euro, infatti, si applica eccezionalmente un’aliquota ridotta al 23% (anziché al 25%), assicurando ai pensionati un risparmio Irpef fino a 260 euro. Anche in questo caso l’incremento è già stato riconosciuto, nel cedolino di marzo per l’esattezza (compreso il pagamento degli arretrati).
Aumenti, quindi, ci sono stati e non è questo il momento di attenderne altri. I prossimi incrementi, infatti, sono quelli che scattano tra luglio - con l’arrivo della quattordicesima per i pensionati che ne hanno diritto - e agosto, quando sono in arrivo i primi rimborsi Irpef per coloro che hanno presentato dichiarazione dei redditi con modello 730/2024 indicando l’Inps come sostituto d’imposta e nei confronti dei quali è risultato un credito Irpef da recuperare.
© RIPRODUZIONE RISERVATA