Quota 41 per tutti, il governo la vuole a tutti i costi ma i soldi non bastano. Ecco perché possono arrivare i tagli sulla rivalutazione in programma nel 2025.
Come abbiamo avuto già modo di trattare, a gennaio le pensioni aumentano per effetto della rivalutazione, quel meccanismo con cui gli assegni vengono adeguati al costo della vita tenendo conto dell’inflazione registrata nell’ultimo anno.
Tuttavia, l’incognita è rappresentata dalle percentuali che verranno utilizzate per il calcolo delle pensioni. Se per quanto riguarda l’inflazione stimata l’ultimo Documento di economia e finanza parla di un 1,6%, con la percentuale che potrebbe essere rivista con la nota di aggiornamento che verrà approvata a settembre prossimo, non è ancora chiaro se il governo Meloni tornerà a utilizzare il sistema a tre fasce disciplinato dalla normativa originaria (legge n. 448 del 1998) oppure quello a sei - maggiormente penalizzante - introdotto dalle ultime due leggi di Bilancio.
Quest’ultimo è in scadenza nel 2024, e fino a oggi tutto lasciava pensare che, al fine di evitare che la Corte Costituzionale si esponga contro i reiterati tagli alla rivalutazione, potesse esserci un ritorno alle vecchie regole con tagli minimi per chi ha un assegno superiore alle 4 volte il trattamento minimo.
Le ragioni che hanno portato a tagli più severi, infatti, non esistono più: l’inflazione è tornata a essere sotto controllo, pertanto il costo che il governo dovrebbe sostenere per la rivalutazione sarebbe assolutamente sostenibile.
Tuttavia, nell’annunciare che molto probabilmente i tagli della rivalutazione non ci saranno nel 2025, non avevamo fatto i conti con la volontà del governo di recuperare risorse da destinare al finanziamento di misure di flessibilità per le pensioni. Una ragione che, differentemente dalle previsioni, potrebbe portare a tagli della rivalutazione.
Rivalutazione delle pensioni da riformare
In questi giorni esponenti del governo sono tornati a parlare di Quota 41 per tutti, con l’obiettivo di consentire a ogni lavoratore di andare in pensione una volta raggiunti i 41 anni di contributi.
Tuttavia, come abbiamo già avuto modo di spiegare, questa misura ha un costo insostenibile per lo Stato, in quanto siamo nell’ordine dei 4-5 miliardi di euro, con picchi anche di 9 miliardi in futuro. Ecco perché l’unica possibilità di estendere a tutti Quota 41 è quella per cui al tempo stesso venga inserito un ricalcolo interamente contributivo della pensione per chi vi ricorre, con un taglio che secondo la Cgil si aggirerebbe tra il 15% e il 30%.
Tuttavia, nonostante il ricalcolo contributivo, Quota 41 costerebbe comunque 1 miliardo di euro. Troppi secondo le risorse a disposizione per la legge di Bilancio, ragion per cui il governo non ha escluso di ricorrere nuovamente al “portafoglio” della rivalutazione, tagliando appunto gli aumenti previsti per le pensioni che superano le 4 volte il trattamento minimo (quindi circa 2.400 euro lordi).
Sarebbe un vero e proprio choc per i pensionati che ancora una volta sarebbero costretti ad accontentarsi di un recupero parziale del potere d’acquisto: basterebbe pensare che se dovesse andare davvero così, negli ultimi 7 anni solamente una volta è stato utilizzato il sistema originario (nel 2022, con il governo Draghi).
leggi anche
Pensioni e rivalutazione, ecco quale sarebbe l’importo nel 2024 senza i tagli del governo Meloni
Il governo Meloni vuole modificare la legge sulla rivalutazione?
E come da indiscrezioni riportate da La Stampa, sembra che il governo Meloni non si accontenti questa volta di una sforbiciata alla rivalutazione.
C’è la convinzione, infatti, che il meccanismo dell’indicizzazione degli assegni debba essere ripensato: per questo motivo il governo ha nominato, insieme al Cnel, una commissione di esperti utile per valutare la fattibilità di un progetto di riforma della rivalutazione dove al posto dell’indice di perequazione verrebbe utilizzato il deflatore del PIL, più conveniente per lo Stato e meno per il pensionato.
© RIPRODUZIONE RISERVATA