I dazi riaccendono il sogno dell’iPhone «Made in USA», ma tra mancanza di manodopera e costi astronomici, resta solo una fantasia retorica.
Nel caos economico internazionale riacceso dai dazi statunitensi, torna una cara vecchia fantasia: quella di produrre l’iPhone direttamente negli Stati Uniti. Un’idea che sa di patriottismo industriale, di ritorno alle fabbriche “in casa propria”, ma che regge poco se si prova a farne i conti sul serio. Perché, spoiler: non conviene a nessuno. Per mille motivi.
Il sogno americano costa troppo
Negli ultimi mesi, le misure protezionistiche degli Stati Uniti (dazi, restrizioni commerciali, pressioni sui colossi tech) hanno riacceso il discorso sul ritorno della produzione sul suolo americano. E ovviamente, in cima a tutto c’è lui: l’iPhone, simbolo del capitalismo globale. Ma a mettere le cose in chiaro sono le stesse persone che l’iPhone l’hanno creato.
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Tim Cook, nel 2017, spiegava che Apple non produce in Cina per risparmiare, ma perché lì c’è la manodopera specializzata necessaria per assemblare milioni di dispositivi con precisione millimetrica. Negli Stati Uniti, diceva, non si riuscirebbe nemmeno a riempire una sala riunioni con gli ingegneri degli utensili. In Cina, potresti riempire “diversi campi da calcio”, sostiene. Anche Steve Jobs, in passato, aveva fatto lo stesso discorso a Barack Obama: non si tratta solo di costi, ma di disponibilità di personale qualificato. Negli Stati Uniti, semplicemente, non ci sono abbastanza persone per farlo.
Investimenti, ingegneria e geopolitica
La CNN ha chiesto a Dan Ives, analista per Wedbush Securities, quanto verrebbe a costare un iPhone prodotto negli USA: almeno 3.500 dollari, ha detto. E solo per riportare negli Stati Uniti il 10% della catena produttiva, Apple spenderebbe 30 miliardi di dollari in tre anni. Un investitore intervistato nel 2018 da Forbes ha addirittura ipotizzato una cifra tra i 30.000 e i 100.000 dollari. Per capirci: un iPhone Made in USA costerebbe più di una Tesla Model 3. Nel frattempo, Apple ha annunciato un maxi investimento da 500 miliardi di dollari negli USA, ma non per costruire fabbriche di iPhone. Le supply chain non si spostano per decreto, e anche se lo si volesse davvero, non ci sarebbero le condizioni per farlo.
E nel mentre, la politica americana continua a oscillare: i dazi sono stati sospesi per 90 giorni (esclusa la Cina), ma non è chiaro cosa accadrà dopo. Nel frattempo, Apple si muove come sempre con prudenza: cerca alternative alla Cina, magari in Vietnam o India, ma non torna indietro. Il sogno dell’iPhone prodotto in America, per ora, resta una narrazione utile a scaldare i comizi, ma del tutto scollegata dalla realtà economica. Nel nostro mondo, attuale e iperconnesso, dove le competenze si trovano altrove, l’autarchia industriale non è solo difficile: è assurda. E se davvero volessimo un iPhone americano, l’unica domanda da farci è: siamo pronti a pagarlo quanto un’auto nuova?
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