La Cina ha la possibilità di mediare tra Iran e Pakistan e lo farà senza alcun dubbio. Anche perché se la situazione dovesse degenerare Pechino avrebbe di che rimetterci
La Belt and Road Initiative (BRI) lanciata da Xi Jinping nel 2013 aveva inizialmente l’ambizione di creare un doppio collegamento, terrestre e marittimo, tra la Cina da un lato, e l’Europa e l’Africa dall’altro. Andando avanti il progetto si è ampliato, ha incluso sempre più partner (l’Italia, per inciso, è stata la prima nazione del G7 ad aver aderito ma anche la prima ad esserne uscita), nuovi investimenti e corridoi commerciali.
Uno di questi, altamente strategico per Pechino, avrebbe dovuto consentire al governo cinese di risolvere l’enigma rappresentato dal dilemma di Malacca. Ossia: trovare un modo alternativo per far passare le proprie navi – ergo: merci in entrata e uscita – senza per forza transitare attraverso lo Stretto di Malacca, choke point critico per il Dragone (dal quale passa circa l’80% delle importazioni energetiche cinesi) e monitorato da una nutrita presenza statunitense.
Il China-Pakistan Economic Corridor (CPEC) avrebbe dovuto collegare la città cinese di Kashgar, nella provincia occidentale dello Xinjiang, al porto pakistano di Gwadar, così da consentire alla Cina di sfruttare questa direttiva per trasferire petrolio e gas all’ombra della Città Proibita. Allo stesso tempo, l’Iran era ed è un hub fondamentale per gli snodi della BRI, nonché partner cinese di primo livello. Ebbene, questo equilibrio teorico tra Cina, Pakistan e Iran è stato messo a durissima prova dalle recenti tensioni andate in scena tra Islamabad e Teheran. [...]
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