Perché non è (solo) la Cina a spaventare l’economia globale

Violetta Silvestri

16/09/2023

La Cina è l’unica minaccia per l’economia globale? No, e gli investitori del mondo guardano con più timore e preoccupazione la Fed e la politica dei tassi. Perché è lì il vero rischio crollo?

Perché non è (solo) la Cina a spaventare l’economia globale

Davvero la Cina è la minaccia più forte per l’economia globale? La ripresa debole e problematica del dragone e la sua attitudine alla slealtà commerciale stanno disegnando sempre di più Pechino come il pericolo maggiore per la stabilità mondiale.

Ma è proprio così? In realtà, in una economia dominata da inflazione alle stelle, tassi di interesse in forte aumento nelle economie occidentali soprattutto, declino industriale, incertezza energetica, guerra, debiti statali sempre più insostenibili, la rete di pericoli è assai complessa. E ha diverse cause, non solo cinesi.

Secondo una interessante analisi di Bloomberg, per esempio, la Fed dovrebbe spaventare più del dragone per le sorti economiche mondiali: ecco perché.

La Fed, non la Cina, spaventa il mondo. Per quale motivo?

L’analisi degli esperti è chiara e sintetica: è la Federal Reserve americana che sta infliggendo sofferenza a gran parte del mondo in questo momento.

Il motivo? Sebbene i mercati finanziari avessero scontato tagli dei tassi per l’ultima parte del 2023, è diventato certo che i tassi di interesse statunitensi probabilmente rimarranno elevati man mano che la minaccia di recessione si allontana, ma l’inflazione statunitense continua a mostrare segni di rigidità.

Stando alle ultime stime degli investitori, il tasso dei fondi federali potrebbe rimanere all’attuale livello del 5% e oltre – il più alto degli ultimi 22 anni – fino al prossimo anno. Molte nazioni a medio reddito e in via di sviluppo sono quindi costrette a ritardare i loro piani per un taglio dei tassi, anche se ciò significa frenare la crescita, a causa del rischio di innescare destabilizzanti deflussi di capitali.

Gli effetti delle azioni della Fed possono in realtà palesarsi in diversi modi.

Tassi statunitensi più alti rendono gli asset denominati in dollari più attraenti, risucchiando denaro dagli altri mercati e provocando il deprezzamento delle loro valute. Questa dinamica aumenta le pressioni inflazionistiche e rende più difficile ripagare il debito emesso in dollari.

Secondo il Bloomberg Dollar Spot Index, il biglietto verde è in rialzo da metà luglio rispetto a un paniere di 10 principali valute, con un rialzo che è il più lungo dal 2005. Un dollaro forte, alimentato anche dalla politica monetaria aggressiva della Fed, si traduce in debiti statali denominati in dollari più onerosi.

La stessa Cina è tra i paesi colpiti dagli alti tassi statunitensi. La Banca popolare cinese (PBOC) è stata sempre più energica nella sua difesa dello yuan, orchestrando vendite di dollari per sostenerlo e avvertendo che gli speculatori saranno puniti.

Ciononostante, lo yuan è crollato al livello più basso dal 2007. In un briefing del 5 settembre organizzato dall’ambasciata cinese a Washington, il portavoce Liu Pengyu ha detto: “Le principali economie sviluppate hanno adottato politiche di contrazione che causano effetti di ricaduta”. Era un messaggio per additare la Fed.

Anche la Reserve Bank of India è intervenuta sui mercati per sostenere la rupia. E da quando la valuta giapponese ha superato la soglia psicologica di 145 yen per dollaro all’inizio di questo mese, si è scatenata la speculazione che la Banca del Giappone stia contemplando un’uscita dai tassi di interesse negativi.

Da Pechino nessuna instabilità finanziaria

Le osservazioni degli esperti su Bloomberg non nascondo che il raffreddamento dell’economia cinese stia avendo effetti a catena a livello internazionale.

Gli investitori stranieri hanno scaricato per mesi le azioni blue chip della Cina, contribuendo alla più lunga serie di deflussi dalle azioni cinesi mai registrata. Aziende come Mercedes-Benz Group AG e Caterpillar Inc. hanno fatto allusione al calo della domanda in Cina nelle dichiarazioni sugli utili, e la Corea del Sud e la Germania hanno visto diminuire le esportazioni verso il dragone.

Tuttavia, si prevede che l’economia cinese crescerà ancora intorno al 5% quest’anno. Ed è degno di nota il fatto che, anche se lo yuan è scivolato rispetto al dollaro, ciò non ha alimentato il tipo di turbolenza finanziaria globale vista nel 2015, quando una svalutazione a sorpresa da parte della PBOC spaventò gli investitori di tutto il mondo.

L’attenzione è invece concentrata sugli Usa e lo sguardo è preoccupato. Alla prossima riunione del comitato per la fissazione dei tassi, il 19-20 settembre, la Fed pubblicherà la sintesi trimestrale delle proiezioni economiche.

Le previsioni, che riguardano il 2025, sono attese con impazienza per la chiarezza che potrebbero fornire sulla traiettoria dei tassi di interesse. Hao Hong , capo economista del Grow Investment Group e veterano osservatore della Cina, riassume il punto di vista dei mercati di tutto il mondo: “Tutti guardano la Fed”.

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