I buoni pasto hanno i giorni contati? Si apre la protesta delle associazioni di categoria contro il sistema dei buoni pasto che pesa sugli esercizi commerciali. Si richiede una riforma radicale.
Bufera sui buoni pasto. Le associazioni di categoria hanno alzato i toni in vista della gara di appalto in dirittura d’arrivo. Ormai le commissioni sono arrivate al 20% e per gli operatori non è più una condizione sopportabile, fanno sapere le associazioni di categoria. I rappresentanti di Conad, Coop, Fiepet Confesercenti, Federdistribuzione, Fida e Fipe Confcommercio lanciano l’allarme: «Dopo due anni di pandemia, e il rincaro delle materie prime e dell’energia, non sono accettabili livelli di commissioni sul livello di quelle precedenti».
Se non dovessero cambiare le condizioni sulle commissioni con una riforma radicale del sistema, le aziende e gli esercizi di ristorazione potrebbero non accettare più i buoni pasto. È questa la portata della protesta delle associazioni di categoria, che rispondono a quello che hanno definito «ricatto della Pubblica Amministrazione» con la richiesta di una riforma complessiva e radicale del sistema dei buoni pasto. Per le associazioni di categoria la protesta è una vera e propria necessità che accende un faro su una condizione che passa fin troppo in secondo piano.
Basta buoni pasto: le aziende protestano per le commissioni
Il sistema dei buoni pasto non è più sostenibile, a dirlo sono le associazioni di categoria riunite. «Dopo due anni di pandemia, e il rincaro delle materie prime e dell’energia», si è fatto portavoce il presidente di Fipe Lino Enrico Stoppani, «non sono accettabili livelli di commissioni sul livello di quelle precedenti». Ma non è l’unica voce e c’è chi, più diretta, afferma che le imprese non possono più farsi carico del welfare dei lavoratori. Donatella Prampolini, presidente Fida, aggiunge che sono «di fronte a un ricatto perché i tempi dei pagamenti non sono mai immediati. E le aziende ci offrono pagamenti magari a sette giorni solo in cambio di ulteriori rialzi delle commissioni».
A ogni appalto le commissioni si alzano e oggi sono pari a una tassa occulta del 20%. Questo vuol dire che per ogni buono pasto da 8 euro l’impesa incassa poco più di 6 euro, che tra crisi economica, aumento del costo dell’energia e dei prodotti alimentari, diventa una spesa insostenibile da coprire con il solo buono pasto.
Per questo la protesta delle associazioni è pronta ad andare avanti, facendosi forza dei numeri. Nel 2019, come riporta l’Ansa, sono stati emessi 500 milioni di buoni pasto per un valore complessivo di 3,2 miliardi di euro. A beneficiarne sono stati circa 3 milioni di lavoratori (1 milione sono solo dipendenti pubblici). In totale, secondo quanto riportato, ogni giorno i dipendenti pubblici e privati spendono nelle attività e in tutti gli esercizi convenzionati 13 milioni di buoni pasto. Insomma, un giro di affari che coinvolge un gran numero di attività e dipendenti.
Cosa chiedono le imprese: senza riforma è addio ai buoni pasto
Le associazioni di categoria sono unite nel chiedere una riforma radicale, non solo economica ma anche morale. «Non è accettabile che lo Stato in un momento come questo dell’economia e della crisi dei pubblici esercizi ponga una nuova tassa sulla ristorazione, perché così noi la definiamo, con assegnazione di gare di appalto con tassi di commissioni sempre maggiori», spiega Lino Enrico Stoppani, presidente Fipe-Confcommercio.
Le associazioni chiedono la salvaguardia del valore nominale dei titoli (un buono da 8 euro deve valere 8 euro) e la definizione di tempi certi di rimborso da parte delle società emettitrici. Se questo non dovesse accadere, le attività sono pronte a fare fronte unito e dire addio ai buoni pasto.
Codacons ribatte con una minaccia di denuncia. «Qualsiasi limitazione o impedimento al loro utilizzo costituirebbe un ingiusto danno a chi ne beneficia», dice il presidente di Codacons Carlo Rienzi «e apre la strada ad azioni risarcitorie contro ristoratori e imprese della distribuzione che rifiuteranno l’accettazione dei ticket».
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