Utilizzare la violenza sui figli può essere reato di maltrattamento o abuso dei mezzi di correzione, anche se a scopo istruttivo ed educativo. Lo dice la Cassazione: non esistono schiaffi a fin di bene.
Picchiare i bambini è reato? Si possono dare schiaffi “correttivi” e sculacciate ai propri figli? La risposta a queste domande è no, nemmeno se i genitori sono mossi da intenti educativi.
Per sedare, istruire ed educare i figli quando fanno i capricci non deve essere utilizzata la violenza fisica o psicologica o qualunque altro metodo che leda la dignità e causa insicurezza e paura.
A dirlo è la Corte di cassazione che in diverse occasioni ha chiarito che picchiare i figli, specie se molto piccoli, può integrare il reato di abuso dei mezzi di correzione e nei casi peggiori di maltrattamento di minori, quando la condotta violenta è reiterata nel tempo.
Non solo la Cassazione - e quindi la legge - ma anche autorevoli psicologi ed educatori ritengono che i metodi violenti sono assolutamente da evitare poiché non educano affatto, anzi possono avere serie ripercussioni sullo sviluppo psicologico del bambino.
Nonostante gli ammonimenti, molti genitori continuano ad essere convinti dell’esistenza dei “ceffoni a fin di bene”, e difendono l’uso della violenza fisica dietro intenti istruttivi ed educativi. Attenzione però, oltre a danneggiare i bambini, ci sono dei rischi anche sul lato penale.
Schiaffi e sculacciate ai propri figli: può essere abuso dei mezzi di correzione
Per i giudici della Corte di cassazione non ci sono dubbi: picchiare i bambini integra il reato di abuso dei mezzi correttivi a meno che la condotta non sia così lieve da essere trascurabile. Difficile stabilire a priori quando uno schiaffo sia concesso oppure no, ma in generale la violenza non è ammessa se sproporzionata rispetto al comportamento del bambino, all’età e al suo stato di salute.
I metodi violenti dovrebbero sempre essere evitati, altrimenti si commette un vero e proprio reato: “Abuso dei mezzi di correzione o disciplina” previsto dall’articolo 571 del Codice penale:
“Chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina(1) in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito, se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente, con la reclusione fino a sei mesi.”
La pena aumenta se dal fatto derivano lesioni personali o la morte del minore.
I giudici della Cassazione hanno sottolineato (precisamente nella sentenza n. 25790/2014) che i mezzi di correzione della prole quando sono violenti contrastano con i fini educativi per due ragioni:
- ledono la dignità personale del bambino;
- contraddicono lo sviluppo armonico della personalità.
Così la Corte di Cassazione (sentenza n. 18706/2020):
“..un reiterato ricorso alla violenza, materiale e morale, e come ciò sia incompatibile con il reato di abuso dei mezzi di correzione; l’elemento differenziale tra il reato di abuso dei mezzi di correzione e quello di maltrattamenti non può individuarsi nel grado di intensità delle condotte violente tenute dall’agente (…) in quanto l’uso della violenza per fini correttivi ed educativi non è mai consentito.”
Quando picchiare i bambini è reato di maltrattamenti in famiglia
Le cose cambiano, in peggio, se i metodi violenti - anche se giustificati da fini “educativi” - sono reiterati nel tempo e abituali.
In questo caso le percosse sui figli possono integrare il reato di “Maltrattamenti contro familiari e conviventi” ex articolo 572 del Codice penale:
“Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da tre a sette anni.”
La pena è aumentata fino alla metà se le violenze sono rivolte verso figli minori. Inoltre anche gli altri minori che assistono alle violenze (ad esempio sui fratelli) vengono considerati parte lesa.
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