Chi decide di vendere un immobile di sua proprietà in alcuni casi è sottoposto a tassazione delle plusvalenze immobiliari. Ecco quando e gli importi dovuti.
Chi decide di vendere un immobile, come attività occasionale e non professionale, deve sapere che i ricavi generati, cioè la differenza tra il prezzo di acquisto e quello di vendita, danno luogo a plusvalenze. Le stesse in molti casi sono soggette a tassazione: il contribuente può scegliere di assoggettare le plusvalenze generate a tassazione sostitutiva oppure a tassazione ordinaria.
È bene precisare, però, che in questo settore ci sono state importanti novità, infatti il decreto legge 223 del 2006 ha ampliato le ipotesi di tassazione delle plusvalenze immobiliari, andando a ricomprendere anche il caso di vendita di immobili ricevuti in donazione.
Per essi valgono le stesse regole che vedremo a breve per gli altri immobili. Sono invece escluse dalla tassazione le eventuali plusvalenze generate dalla vendita di beni ricevuti per successione, testamentaria o legale. Ciò in forza dell’articolo 67 comma 1 lett.b del Tuir in cui si ribadisce che costituiscono “redditi diversi” e quindi come tali sono tassati “le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni, esclusi quelli acquisiti per successione”.
Prima dell’introduzione di tale decreto le plusvalenze derivanti dalla vendita degli immobili pervenuti al venditore attraverso atto di successione o donazione non erano tassati. Vediamo però con ordine in quali casi c’è la tassazione delle plusvalenze immobiliari.
Plusvalenza immobiliare: cos’è e quando si paga
Quando si applica la tassazione della plusvalenza immobiliare
La prima cosa da comprendere è il campo di applicazione della plusvalenza immobiliare e quindi determinare chi è sottoposto a questa particolare tassazione. La plusvalenza immobiliare è regolata dagli articoli 67 e 68 del Tuir, si applica a coloro che vendono immobili non in forma professionale, si tratta quindi di «privati» che decidono di vendere un immobile di loro proprietà, ad esempio perché hanno deciso di cambiare casa.
Dal punto di vista soggettivo deve essere rilevato che tra i soggetti che non esercitano attività di lavoro nel settore della compravendita di immobili ci sono anche:
- enti non commerciali, una onlus, ad esempio, riceve un immobile in donazione e vuole venderlo;
- soggetti non residenti privi di una stabile organizzazione nel territorio dello Stato;
- società semplici.
Non tutti i «privati» che vendono un immobile sono però sottoposti a tassazione della plusvalenza immobiliare, ma solo coloro che vendono prima che siano trascorsi 5 anni dal momento dell’acquisto dell’immobile stesso, oppure 5 anni dal momento dell’ultimazione dei lavori in caso di nuova costruzione.
Anche in questo secondo caso è però prevista un’ulteriore eccezione perché, se trattasi di “unità immobiliari urbane” è esclusa la tassazione delle plusvalenze immobiliari se in questo arco temporale la casa è stata abitata, per un periodo superiore alla metà del totale, dal proprietario che vende o da un suo familiare.
Ad esempio, Tizio compra una casa nel mese di marzo 2016, decide di venderla nel mese di aprile 2018, cioè dopo 25 mesi, però per 14 mesi ha adibito il locale a propria abitazione oppure ha concesso la stessa a un familiare, ad esempio il figlio, per usarla come abitazione principale. In questo caso, sebbene la vendita maturi prima dei 5 anni, non viene applicata la tassazione ( articolo 67 comma 1 lettera b Tuir).
Nel momento in cui la vendita da parte di un privato avviene dopo 5 anni dalla costruzione o dall’acquisto dell’immobile, non vi è la tassazione della plusvalenza.
La ratio di questa particolare normativa risiede nel fatto che il legislatore assume come dato di fatto che chi acquista e poi vende prima dei 5 anni compie l’azione in maniera speculativa, cioè con l’intento di trarne guadagno. Se però qui ha fissato la residenza vuol dire che l’intento speculativo non c’era al momento dell’acquisto e sono probabilmente intervenuti fatti che hanno indotto a lasciare la casa e di conseguenza la plusvalenza non viene tassata.
Naturalmente affinché si possa tassare la plusvalenza, la stessa deve esistere quindi dobbiamo essere nel campo della cessione a titolo oneroso e c’è bisogno che si realizzi un guadagno determinato dalla differenza tra il prezzo di acquisto e quello di vendita.
Come si calcolano i 5 anni decorrenti dall’acquisto?
L’acquisto di un immobile è un’attività complessa che spesso richiede mesi di trattative, compromessi, accordi e diventa quindi essenziale determinare da quale momento preciso iniziano a decorrere i termini per determinare se la tassazione dei proventi come «redditi diversi» è dovuta o meno.
Al fine di determinare se al momento della successiva vendita sono o meno intercorsi 5 anni rispetto al momento dell’acquisto dalla costruzione, è necessario capire quando matura tale termine, lo stesso varia in base alla situazione.
- in caso di acquisto dell’immobile la data da cui iniziano a decorrere i termini è quella dell’ acquisto, reperibile nell’atto di compravendita. Nel caso in cui l’effetto traslativo sia da contratto posticipato, si intende la data del successivo momento in cui è concordato l’effetto traslativo;
- nel caso in cui il venditore sia anche il soggetto che ha commissionato la costruzione dell’immobile, i 5 anni iniziano a decorrere dalla data di ultimazione dei lavori.
- in caso di acquisto tramite donazione il termine iniziale da cui far decorrere i 5 anni è la data di acquisto da parte del donante. Questo implica che solo in limitati casi si applica la tassazione delle plusvalenze, ad esempio il genitore che acquista casa, la dona subito dopo al figlio e questo non vi abita e la rivende prima che siano trascorsi 5 anni dal momento iniziale in cui il genitore ha acquistato.
Il termine finale è invece quello dell’atto notarile di vendita.
Come si determina la base imponibile della plusvalenza immobiliare?
Al fine di determinare a quanto ammonta l’imposta deve invece essere determinato il valore della plusvalenza, cioè del guadagno. In questo caso trova applicazione l’articolo 68 del Tuir, la plusvalenza viene determinata in base alla differenza tra il prezzo di acquisto, aumentato di ogni costo inerente, e il prezzo di vendita. In caso di immobile proveniente da donazione deve prendersi come punto di riferimento il prezzo pagato dal donante al momento dell’acquisto. Se la casa è di nuova costruzione e quindi non esiste il prezzo di acquisto si ha come riferimento il costo della costruzione che naturalmente deve essere opportunamente documentato.
Occorre a questo punto determinare quali sono i costi inerenti, questi sono essenziali perché portano a una diminuzione della base imponibile sulla quale è calcolata l’imposta. Si tratta di:
- spese notarili e accessorie sostenute per l’atto di acquisto iniziale ( cioè l’attuale venditore deve aumentare il costo di acquisto iniziale delle spese sostenute al momento dell’acquisto);
- imposte indirette pagate al momento dell’acquisto, cioè imposta di registro, imposta ipotecaria, imposta catastale, Iva;
- spese di manutenzione sostenute successivamente all’acquisto dell’immobile e che hanno determinato un aumento di valore. Queste devono essere documentate, quindi in caso di «lavori in economia» non è possibile avvalersi di tale possibilità;
- pese sostenute per liberare l’immobile da vincoli, ad esempio servitù di passaggio sul fondo;
- indennizzi e buonuscite.
Nel caso di immobile di nuova costruzione le spese inerenti che possono essere dedotte sono:
- oneri comunali di urbanizzazione;
- contratti di appalto;
- progettazione e consulenze;
- incrementi sostenuti prima della cessione e dopo la costruzione ( manutenzione ordinaria e straordinaria dopo la ultimazione dei lavori).
Quanto si paga di tassazione sulla plusvalenza immobiliare?
Gli importi dovuti dal venditore che genera una plusvalenza tassabile dipendono dalla scelta del venditore di optare per la tassazione sostitutiva, oppure preferire la tassazione ordinaria al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi.
La scelta più frequente è la tassazione sostitutiva Irpef, in questo caso al momento della vendita il notaio calcola l’imposta sostitutiva al 26% sulla plusvalenza generata (fino al 31 dicembre 2019 l’aliquota applicata era al 20% quindi più bassa).
Il notaio in questo caso svolge la funzione di sostituto di imposta del contribuente. Una volta ricevuta la richiesta di tassazione sostitutiva, il notaio deve predisporre il modello di comunicazione della cessione all’Agenzia delle Entrate. Se l’immobile risulta in comproprietà, per ogni proprietario deve redigere un separato modello e applicare la tassazione. Il notaio inoltre riceve gli importi, li versa all’Erario per conto del contribuente utilizzando il Modello F24.
La tassazione sostitutiva Irpef ha un altro vantaggio, cioè sono esclusi i controlli fiscali straordinari e accertamenti induttivi.
In alternativa è possibile scegliere di dichiarare la plusvalenza generata al momento di presentare la dichiarazione dei redditi. In questo caso l’aliquota viene determinata per scaglioni, le aliquote Irpef sono:
- 23% per redditi fino a 15.000 €;
- 25% per redditi da 15.001 € a 28.000 €;
- 35% per redditi compresi tra 28.001 € a 50.000 €;
- 43% per redditi oltre 50.001
Naturalmente sui redditi dichiarati con Modello 730 o Modello PF sarà possibile applicare deduzioni e detrazioni, inoltre sarà possibile avvalersi di eventuali crediti di imposta maturati dal contribuente.
Nel caso in cui si dovesse optare per la tassazione in dichiarazione con il modello 730 dovrà essere compilato il Quadro D, mentre utilizzando il Modello Pf (Persone Fisiche, ex modello Unico) il Quadro RL.
Non c’è una soluzione migliore tra le due prospettate, semplicemente è bene fare delle simulazioni calcolando quanto si pagherebbe in entrambe le ipotesi. Chi ha un reddito elevato sicuramente potrà trovare più conveniente utilizzare la tassazione sostitutiva.
Casi particolari
Cosa succede se il venditore sta usufruendo delle detrazioni per ristrutturazione?
Si è visto che, nel determinare la base imponibile della tassazione delle plusvalenze immobiliari, tra i costi deducibili, che quindi riducono la base imponibile, vi sono quelli relativi alle ristrutturazioni edilizie.
La normativa prevede che le quote di detrazioni non ancora fruite dal venditore (ricordiamo che in passato in caso i ristrutturazione le detrazioni venivano utilizzate in compensazione Irpef in 10 rate annuali) siano trasmesse all’acquirente. Le parti possono però accordarsi diversamente, ovviamente potrebbero esserci delle variazioni di prezzo in base al fatto che le parti decidano o meno di trasferire le detrazioni ancora spettanti.
In poche parole, se il venditore ristruttura casa, ottiene le detrazioni, nel momento in cui vende può ottenere il vantaggio fiscale di una minore plusvalenza perché il valore della ristrutturazione viene sommato al costo di acquisto/costruzione, a questo punto però il vantaggio fiscale viene trasferito all’acquirente. Se l’acquirente per vari motivi non vuole avvantaggiarsi di queste detrazioni fiscali, le parti possono diversamente accordarsi.
Sono possibili accertamenti fiscali?
Si è detto che la tassazione delle plusvalenze viene applicata alla differenza tra prezzo di acquisto o di costruzione e prezzo successivo di vendita. Nel caso in cui le parti concordino un prezzo ritenuto sospetto da parte dell’Agenzia delle Entrate potrebbero esserci dei controlli fiscali.
Nel caso in cui il venditore abbia scelto la tassazione Irpef ordinaria i termini per l’accertamento sono entro il 31 dicembre del quinto anno successivo al momento della presentazione della dichiarazione Irpef. Nel caso di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, il termine è il 31 dicembre del settimo anno successivo rispetto a quello nel quale il contribuente avrebbe dovuto presentare la dichiarazione.
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