Inutile stracciarsi le vesti, ora, per il fatto che l’Italia ha concordato con Bruxelles sia i prestiti da ricevere che le riforme da adottare: il problema vero è non esiste più uno strumento politico di programmazione.
Bisogna riconoscerlo: dal 1978 in avanti, con l’introduzione della Legge finanziaria annuale, l’assetto degli interventi pubblici fiscali e di spesa si è fatto sempre più congiunturale.
Le stagione delle “leggi di programmazione di spesa di settore” nelle diverse materie, dalla edilizia residenziale a quella scolastica, dai trasporti pubblici locali alla viabilità statale, oppure alle infrastrutture portuali, che avevano rappresentato per decenni l’ossatura degli interventi normativi strutturali, combinando obiettivi, politiche e risorse, si è progressivamente insterlita.
Era quella la normativa strutturale, con orizzonte pluriennale, che determinava la convergenza tra gli interessi collettivi al miglioramento delle infrastrutture e quelli del sistema produttivo, interessato ad avere commesse traguardanti il medio periodo: il tutto, all’interno di un contesto che di volta in volta riformava gli snodi organizzativi, gli assetti ordinamentali, ed i processi di allocazione territoriale e funzionale delle risorse. [...]
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