Nonostante scorte statunitensi scese più del previsto, le quotazioni del greggio sono nuovamente in calo. La causa va ricercata nei dati diffusi dal Dipartimento dell’Energia Usa. Dopo l’indipendenza energetica, la prima economia è diventata uno dei maggiori esportatori di greggio.
Segno meno per le quotazioni del WTI, il petrolio di riferimento negli Stati Uniti, all’indomani della diffusione dei dati sull’andamento delle scorte a stelle e strisce.
Nell’ultima settimana, come riportato qui (Materie prime: scorte di petrolio Usa in calo, ma il future ripiega), gli stock di greggio della prima economia hanno registrato un calo.
In particolare, la contrazione si è attestata a 2,683 milioni di barili, al di sopra dei 2,5 milioni stimati dagli analisti (qui il nostro calendario economico)
Cosa sta penalizzando i prezzi?
Nonostante il calo degli stock maggiore delle stime, le quotazioni del greggio made in USA segnano un rosso dell’1,05% a 51,76 dollari il barile, portando il saldo delle ultime cinque sedute al -1,4%.
Indicazioni simili arrivano dal benchmark globale, il Brent, in contrazione dello 0,93% a 60,75 dollari (-1,33%).
Ad innescare le vendite sono stati i dati relativi l’output statunitense, che ha fatto segnare un nuovo record avvicinandosi alla quota di 12 milioni di barili giornalieri.
Nella settimana all’11 gennaio, secondo le statistiche diffuse dall’Eia (Energy information administration), la divisione statistica del Dipartimento dell’energia Usa, la produzione di petrolio della prima economia si è portata a 11,9 milioni di barili.
Il dato segna un incremento di circa 200 mila barili rispetto alla settimana precedente che, già di per sé, rappresentava il livello massimo per un singolo Paese.
L’Eia stima una produzione media di 12,1 milioni giornalieri nel 2019 e di 12,9 milioni nel 2020.
Nuovo record per l’export a stelle e strisce
Con un incremento della produzione di 2,4 milioni di barili giornalieri nel giro di un anno, l’andamento dell’output statunitense finisce per vanificare le misure di contenimento della produzione messe in campo dall’Opec Plus, il gruppo di cui fanno parte i Paesi del cartello ed altri maggiori produttori (Russia in primis).
Anche perché, insieme alla produzione, a salire sono anche le esportazioni. A fine 2018, l’export di petrolio statunitense ha fatto segnare un nuovo record a 3,2 milioni di barili.
“Le esportazioni statunitensi sono cresciute molto negli ultimi anni e il trend dovrebbe proseguire il suo andamento positivo”, riporta una nota elaborata dal broker marittimo Banchero Costa.
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