La narrazione mediatica di un processo spesso trasforma allora il dibattito pubblico in un’arena polarizzata, dove ogni parola del difensore viene interpretata come una giustificazione del crimine.
All’indomani della sentenza che ha condannato Filippo Turetta all’ergastolo per l’omicidio di Giulia Cecchettin, il Prof. Avv. Giovanni Caruso, già al centro delle polemiche per la sua arringa difensiva, è stato oggetto di un gesto intimidatorio di estrema gravità: una busta contenente tre proiettili recapitata presso il suo studio.
Un gesto di estrema gravità che lascia sgomenti, poiché va ben oltre la sfera personale, compromettendo il diritto «inviolabile» di difesa sancito dall’art. 24 della Costituzione, che l’Avvocato esercita nel pieno delle sue funzioni e che tutela il proprio assistito secondo i principi dello Stato di Diritto.
La gravità di questo episodio impone una riflessione più ampia: il confine tra la tutela dei diritti costituzionali e il pregiudizio sociale si rivela sempre più fragile. Cresce, inoltre, una tensione sempre più marcata tra il garantismo e la condanna sociale, alimentata da una narrazione pubblica amplificata dai media e dai social, che si allontana ogni giorno di più dai canoni di equilibrio e civiltà. [...]
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