Se il processo è troppo lungo puoi chiedere un risarcimento danni. Ecco come funziona e i requisiti.
La lunghezza dei tempi processuali è uno degli elementi che i cittadini contestano maggiormente al sistema della giustizia italiana. Non è soltanto una questione di percezione, visto che anche i report dell’Unione europea criticano il nostro Paese per i suoi tempi processuali, in particolare per il settore civile. Il rapporto 2024 della Cepej - European Commission for the Efficiency of Justice - conferma un importante distacco rispetto alla media europea, ma allo stesso tempo un lento e costante miglioramento. In altre parole, i processi si stanno velocizzando e la tendenza è positiva, ma restiamo al momento tra gli ultimi posti europei. Il problema è dovuto a un insieme di fattori concomitanti, che comunque non cambiano i disagi per i cittadini che si trovano coinvolti un procedimento, sia dall’una che dall’altra parte.
I cittadini hanno bisogno di risposte rapidamente, soprattutto in questioni delicate e importanti per la propria vita. Prendere parte a un processo comporta inoltre diversi disagi, sia in termini economici che di stress. Molti non sanno, però, che la legge riconosce un risarcimento per riparare i danni causati dal processo troppo lungo. Non ci si riferisce agli obblighi della parte soccombente, di solito tenuta a rimborsare l’altro delle spese legali e processuali, ma a una vera e propria forma di indennizzo che prescinde dal contenuto della sentenza. La Corte di Cassazione ha chiarito, infatti, che ha diritto al risarcimento anche la parte soccombente, ossia che ha perso la causa. Per ottenere l’indennizzo è però necessario rientrare in precisi parametri, definiti innanzitutto dalla legge (e in particolare dalla cosiddetta legge Pinto) ma anche dalle pronunce della Cassazione. Insomma, il risarcimento non è per tutti.
Il risarcimento per il processo troppo lungo
La citata legge Pinto, ovvero la n. 89/2001, prevede l’equa riparazione del danno per l’irragionevole durata del processo. Nient’altro che un indennizzo per compensare le parti processuali che hanno ingiustamente subito attese immotivate. Bisogna innanzitutto chiarire che la disciplina si applica a tutti i procedimenti, quindi:
- civili;
- penali;
- amministrativi;
- tributari e crisi d’impresa.
Questo strumento può per esempio essere impiegato anche verso i procedimenti di riscossione del credito, tra gli altri. Il risarcimento tiene conto del danno non patrimoniale, che viene presunto in relazione alla durata irragionevole del processo, e all’eventuale danno patrimoniale. Quest’ultimo, tuttavia, deve essere debitamente documentato per essere riconosciuto, provando anche il nesso causale. La parte deve cioè provare il modo in cui i lunghi tempi processuali hanno arrecato una perdita economica e quantificarla con precisione.
A quanto ammonta il risarcimento
L’indennizzo previsto dalla legge Pinto dipende dalle circostanze specifiche, valutate dal giudice tenendo conto di tutti gli aspetti rilevanti: dall’esito della causa, fino agli interessi in gioco, passando per le conseguenze personali gravate sulle parti e il loro comportamento in giudizio. Per ogni anno (o frazione di anno superiore a 6 mesi) di ritardo viene calcolato un importo tra 400 e 800 euro. La somma complessiva, che non può comunque superare il valore della causa o quello accertato dal giudice, può però essere:
- aumentata fino al 20% per gli anni successivi al terzo;
- aumentata fino al 40% per gli anni successivi al settimo;
- integrata da un bonus forfettario in caso di maggiore danno subito e comprovato;
- diminuita fino al 20% in presenza di più di 10 parti processuali;
- diminuita fino al 40% in presenza di più di 50 parti processuali;
- diminuita fino a ⅓ se le richieste della parte che chiede il risarcimento sono state integralmente rigettate nella causa.
Requisiti per l’indennizzo
Il diritto al risarcimento per il processo troppo lungo dipende essenzialmente da due requisiti: la durata e il comportamento del ricorrente. La durata viene misurata rispetto al termine massimo fissato per ogni grado processuale:
- 3 anni in primo grado;
- 2 anni in appello;
- 1 anno in Cassazione.
Attenzione, però, che se il processo si sviluppa su tutti e tre i gradi di giudizio deve essere considerata la durata massima complessiva di 6 anni. Il procedimento di esecuzione forzata ha invece una durata massima di 3 anni. Queste linee guida devono però essere adattate alla situazione specifica e agli elementi che possono aver influito sui tempi processuali, a seconda della complessità del caso trattato e del comportamento delle parti o di altri soggetti rilevanti. Non ha invece diritto al risarcimento chi ha volontariamente e consapevolmente rallentato il procedimento pur sapendo di avere pretese infondate e non riconoscibili. Ciò accade per esempio in caso di lite temeraria o pretese evidentemente immeritate secondo la «comune diligenza».
Come chiedere il risarcimento
Il risarcimento può essere richiesto entro 6 mesi dal passaggio in giudicato della sentenza, eventualmente anche prima della stessa. Per farlo è necessario presentare un ricorso alla corte d’appello competente su base territoriale, a mezzo del proprio avvocato, spiegando con cura i motivi della domanda.
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