Ecco in quali casi la banca può chiudere il conto corrente senza il consenso del titolare, con e senza preavviso.
Il conto corrente non è soltanto un servizio offerto dalla banca, ma un vero e proprio contratto che vincola il correntista e l’istituto di credito a doveri reciproci. Il grave inadempimento può portare al recesso unilaterale, secondo le disposizioni di legge. In altre parole, la banca può chiudere il conto corrente, talvolta perfino senza darne preavviso al titolare, come ampiamente concesso dalla giurisprudenza.
Ciò non significa che ci sia il rischio di trovare il proprio corrente chiuso dall’oggi al domani senza alcuna motivazione. Il recesso unilaterale dal contratto di conto corrente, ossia la chiusura forzata da parte della banca, è ammesso soltanto in determinati casi previsti dalla legge. Il correntista ha poi in ogni caso la possibilità di contestare l’azione dell’istituto di credito, per esempio rivolgendosi all’arbitro bancario finanziario oppure ricorrendo in tribunale.
L’opposizione deve essere basata sulla presunta infondatezza dell’azione della banca, che in alcune ipotesi è del tutto legittimata a chiudere il conto corrente per tutelare i propri interessi. Nella maggior parte dei casi è tenuta a comunicare la decisione con preavviso al correntista, che potrà eventualmente chiarire la propria posizione, ma ci sono delle eccezioni che è bene conoscere per evitare sorprese spiacevoli. Di seguito tutte le informazioni generali, a cui aggiungere eventuali pattuizioni specifiche contenute nel contratto.
Diritto di recesso alla chiusura del conto
Quando ci si riferisce alla chiusura del conto corrente da parte della banca, a prescindere dalla volontà del titolare, si parla del recesso unilaterale, che la legge ammette soltanto a specifiche condizioni. Innanzitutto, la chiusura non è possibile per i conti correnti a tempo determinato, per i quali entrambe le parti devono attendere la scadenza concordata. Altrimenti, l’istituto di credito potrebbe applicare una penale o il correntista avanzare una richiesta di risarcimento danni.
Il contratto di conto corrente a tempo indeterminato consente invece di cessare il rapporto in occasione di ogni chiusura del conto concordata tra le parti (di norma ogni 3, 6 o 12 mesi), con cui vengono individuati il saldo e l’esigibilità del credito. Tanto la banca quanto il correntista possono esercitare il diritto di recesso in questa occasione, comunicando la propria decisione con un preavviso minimo di 10 giorni. Il preavviso minore posticipa la cessazione del rapporto alla chiusura successiva prevista dalle scadenze contrattuali.
Chiusura anticipata del conto corrente
Secondo l’articolo 1833 del Codice civile la banca può recedere anticipatamente dal contratto in caso di interdizione, inabilitazione, insolvenza o decesso del correntista. In quest’ultimo caso, tuttavia, la chiusura non è affatto immediata. L’istituto di credito deve bloccare il conto per tutelare il patrimonio ereditario, in attesa che gli eredi compiano i dovuti adempimenti, come specificato dall’Arbitro bancario finanziario.
Nel caso in cui manchi qualsiasi genere di operazione per 10 anni, dunque del cosiddetto conto dormiente, le somme depositate vengono trasferite al Consap (se superiori a 100 euro). Gli eredi o comunque i titolari possono farne richiesta entro 10 anni, oltre i quali i fondi non sono più esigibili e vanno allo Stato. La chiusura del conto avviene quindi dopo 10 anni senza attività.
Chiusura del conto senza preavviso
Come anticipato la banca potrebbe anche chiudere il conto corrente senza fornire un preavviso, a patto che sussista una giusta causa dovuta alla responsabilità del correntista. Il recesso immediato deve comunque prevedere un termine di 15 giorni per la restituzione delle somme utilizzate, pur venendo sospesa immediatamente l’utilizzazione del credito.
La giusta causa può essere individuata direttamente dal contratto oppure riguardare le ipotesi di recesso anticipato già affrontate, ma non necessariamente. Deve trattarsi di un inadempimento tanto grave o di una condotta colpevole prolungata che impediscono all’istituto bancario di proseguire il rapporto in modo proficuo oppure di situazioni specifiche che pregiudicano ingiustamente gli interessi dell’istituto bancario. Lo stesso principio è ribadito dall’articolo 33 del Codice del consumo, che parla in proposito di giustificato motivo.
Per esempio, il ministero dell’Economia ha ribadito la possibilità della banca di chiudere il conto corrente quando oggetto di un’indagine da parte della Guardia di Finanza o della magistratura, con sospetto di un reato che potrebbe ripercuotersi sulla liquidità. L’ordinanza n. 10125/2021 della Corte di Cassazione riconosce invece la legittimità della chiusura unilaterale quando il correntista è perennemente in rosso, tanto da far presagire l’impossibilità di far fronte al proprio impegno.
La sentenza n. 29317/2020 della stessa Corte ammette il recesso anche in caso di superamento frequente e ingiustificato del limite di affidamento, specificando anche che l’inerzia della banca non comporta un innalzamento tacito del limite quanto più la semplice tolleranza in attesa del rientro.
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