Il quarto quesito referendario chiede l’inclusione della componente laica del Consiglio direttivo della Cassazione e dei Consigli giudiziari alle valutazioni sulla professionalità dei magistrati.
Approfondiamo oggi il tema del quarto quesito del referendum: la scheda che ci sarà consegnata nel seggio elettorale il giorno 12 giugno sarà di colore grigio e riguarda i Consigli Giudiziari.
Per l’esattezza, il quesito referendario chiederà che la componente laica del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione e dei Consigli giudiziari non sia esclusa dalle discussioni e dalle valutazioni che hanno a che fare con la professionalità dei magistrati.
A oggi, i Consigli giudiziari sono organi ausiliari composti da cariche appartenenti alla magistratura e laici. Sono organi a composizione mista: oltre ai membri che ne fanno parte per diritto, sono formati da alcuni magistrati e poi da alcuni membri “non togati” cioè avvocati e professori universitari in materie giuridiche.
Il quesito ci chiederà di abrogare tutte le norme che non consentono a questa componente laica del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione e dei Consigli giudiziari di valutare sulla professionalità dei magistrati. Vediamo insieme di cosa si tratta.
Testo del quarto quesito (Scheda grigia)
Il testo del quarto quesito referendario è il seguente:
«Volete voi che sia abrogato il decreto legislativo 27 gennaio 2006, n.25, recante «Istituzione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e nuova disciplina dei consigli giudiziari, a norma dell’art.1, comma 1, lettera c) della legge 25 luglio 2005, n.150», risultante dalle modificazioni e integrazioni successivamente apportate, limitatamente alle seguenti parti: art.8, comma 1, limitatamente alle parole «esclusivamente» e «relative all’esercizio delle competenze di cui all’art.7, comma 1, lettera a)»; art.16, comma 1, limitatamente alle parole: «esclusivamente» e «relative all’esercizio delle competenze di cui all’art.15, comma 1, lettere a), d) ed e)»?».
Cosa significa il quarto quesito
Il quarto quesito referendario chiede, se approvato, di abrogare le limitazioni alle competenze dei “membri laici” - cioè non magistrati, ma avvocati e professori Universitari - all’interno del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei Consigli giudiziari, consentendo loro di prendere parte interamente alle deliberazioni, incluse quelle sulla valutazione dei magistrati e della loro professionalità.
Si tratta di una competenza che la Costituzione assegna all’organo di autogoverno, che decide in base ai pareri formulati dal Consiglio Direttivo della Cassazione e dai Consigli giudiziari (che agiscono a livello locale).
Questi organismi ricalcano il modello del Csm e sono quindi formati da magistrati, ma anche da tre membri «laici», cioè due professori universitari e un avvocato.
I due organi formulano pareri su questioni che riguardano l’organizzazione e il funzionamento degli Uffici giudiziari, vigilano sulla condotta dei magistrati e formulano le pagelle relative all’avanzamento in carriera dei magistrati.
Sulle ultime due competenze (vigilare sulla condotta e formulazione delle pagelle), però, possono esprimersi solo i componenti togati, cioè i magistrati. La componente laica, che rappresenta un terzo dell’organismo, è difatti esclusa dalle discussioni e dalle votazioni che attengono alle competenze dei magistrati, limitata al ruolo di “spettatore”.
Analisi delle norme del testo
Il corpo normativo di riferimento è il Decreto legislativo 27 gennaio 2006, n. 25 che regola la composizione e le funzioni del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei Consigli giudiziari.
Tra i principali compiti di questi ultimi, operanti a livello distrettuale, vi è la formulazione di pareri finalizzati alla valutazione di professionalità dei magistrati da parte del Csm.
Un compito analogo è svolto dal Consiglio direttivo in relazione ai magistrati in servizio presso la Suprema Corte o la Procura Generale. Come detto, entrambi gli organi hanno composizione mista.
Ora, dovendo analizzare il contenuto del quesito referendario, osserviamo che la partecipazione dei membri non togati alle discussioni e alle deliberazioni dei due organi è espressamente limitata ad alcune funzioni.
Precisamente, nel caso del Consiglio direttivo, la formulazione di pareri sulle tabelle di organizzazione della Corte di cassazione (art. 7, comma 1, lettera a); nel caso dei Consigli giudiziari (art. 15, comma 1), la formulazione di pareri sulle tabelle degli uffici giudicanti e sui criteri per l’assegnazione degli affari (lett. a), la vigilanza sull’andamento degli uffici giudiziari (lett. d) e la formulazione di pareri circa il funzionamento degli uffici del giudice di pace (lett. e).
In entrambi i casi, le norme rilevanti non menzionano, tra le competenze tassativamente indicate, quella consistente nella formulazione dei «pareri per la valutazione di professionalità dei magistrati ai sensi dell’art. 11 del d.lgs. 160/2006».
Pertanto con referendum abrogativo si mira a espungere dagli artt. 8 (per il Consiglio direttivo) e 16 (per i Consigli giudiziari) le limitazioni appena viste alla competenza dei membri non togati.
Che succede se voto SÌ
Come detto, avvocati e docenti partecipano adesso come gli altri membri all’elaborazione di pareri su diverse questioni tecniche e organizzative, ma sono esclusi dai giudizi sull’operato dei magistrati, in base ai quali, poi, il Csm dovrà procedere per fare le valutazioni di professionalità.
Se al referendum vinceranno i SÌ, anche gli avvocati e i professori universitari parteciperanno attivamente alla valutazione dell’operato dei giudici.
In tal caso, i membri laici avrebbero diritto di voto in tutte le deliberazioni del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei Consigli giudiziari con l’obiettivo, secondo i proponenti, di rendere più oggettivi e meno autoreferenziali i giudizi sull’operato dei magistrati.
I sostenitori del referendum ritengono che questa sovrapposizione tra “controllore” e “controllato” renda poco verosimili le valutazioni e favorisca una logica corporativa.
Aprire le valutazioni a soggetti estranei all’ordine giudiziario potrebbe renderle più oggettive e meno condizionate dalla corporatività.
Che succede se voto NO
I sostenitori del NO ritengono che la partecipazione dei membri laici alla redazione delle «pagelle» dei magistrati siano del tutto irrilevanti ai fini di un migliore funzionamento della giustizia per i cittadini. Ritengono che la funzione giudiziaria sia troppo delicata per affidare le carriere dei magistrati al giudizio di professori o avvocati che, magari, in un futuro potrebbero trovarsi a essere controparte in un giudizio degli stessi magistrati valutati.
Chi si oppone a questo cambiamento sostiene che non sia opportuno affidare un ruolo attivo agli avvocati nel redigere pareri sui magistrati di cui, all’interno dei processi, rappresentano la controparte. Il rischio sarebbe quello di valutazioni preconcette o ostili.
Se si riflette con attenzione alla pratica realizzazione di questo cambiamento, potrebbero esserci in effetti contraccolpi inaspettati qualora i magistrati stessi, durante un processo, si trovassero di fronte all’avvocato che poi potrà esprimere un parere molto importante sul suo lavoro e che avrà conseguenze sulla sua carriera professionale.
Sostanzialmente, la modifica potrebbe mettere in discussione la terzietà del giudice.
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