La politica dei dazi attuata dal presidente degli Stati Uniti sta iniziando a dare i primi frutti.
Donald Trump ha lanciato una pesante guerra tariffaria contro il mondo. Se in Europa i dazi sono stati congelati, non è lo stesso per la Cina, considerata la nemica numero uno nel panorama commerciale mondiale. Trump ha intenzione di limitare totalmente le importazioni di prodotti dalla Cina e, per farlo, ha imposto dazi elevatissimi che scoraggiano qualsiasi ingresso di prodotti asiatici negli Stati Uniti.
Di conseguenza, le aziende statunitensi che avevano legami in Asia per l’approvvigionamento si trovano in questo momento costrette a congelare gli ordini, nella speranza che nei prossimi mesi si possa trovare un accordo e una tregua sui dazi. Un calo di ordini che sta già dando i primi effetti in Cina. Alcune fabbriche che dipendono dagli ordini provenienti dagli Stati Uniti sono state costrette a chiudere completamente. Altre sono alle prese con brusche cancellazioni degli ordini e lavorano in un clima di incertezza che rende impossibile pianificare il futuro.
Gli importatori statunitensi sono costretti ad affrontare una notevole incertezza nella pianificazione dell’anno 2025 e si trovano a dover superare importanti sfide. I dazi imposti da Trump stanno costringendo diverse attività a riconsiderare le previsioni per l’anno in corso. I dazi hanno sconvolto le loro strategie di pianificazione a lungo termine, in particolare per quanto riguarda la stabilità della catena di approvvigionamento e le proiezioni dei costi. Sebbene molti abbiano anticipato le mosse di Trump assicurandosi scorte in anticipo per sviare gli aumenti tariffari, in tanti devono ancora prendere una decisione in merito alle importazioni e alle future strategie di approvvigionamento.
In alcuni casi, i dazi con la Cina arrivano al 145% su alcuni prodotti
Un prelievo corposo che sta portando a cancellazioni di ordini su larga scala e sta costringendo le aziende a rivalutare le loro strategie complessive per la catena di approvvigionamento. Gli importatori stanno valutando se mantenere i loro fornitori tradizionali o cercare forniture in paesi con costi inferiori.
L’obiettivo è individuare aree in grado di garantire una produzione a costi competitivi, evitando al contempo il peso economico derivante da dazi doganali elevati o da instabilità politiche improvvise. Molti importatori, nel frattempo, preferiscono attendere, sospendendo gli ordini per 30-60 giorni nella speranza di un allentamento delle tensioni e di una riduzione delle tariffe.
C’è chi sperava di attuare la strategia di approvvigionamento «Cina+1», che consisteva nel diversificare le proprie catene di approvvigionamento rifornendosi di prodotti non solo dalla Cina, ma anche da uno o più paesi del Sud-Est asiatico, come Vietnam, India o Indonesia. Tuttavia, le politiche tariffarie hanno preso di mira non solo i prodotti cinesi, ma anche quelli di altri paesi asiatici che facevano affidamento su componenti o materie prime cinesi.
Soprattutto le aziende di abbigliamento e calzature che avevano già trasferito una parte significativa del loro approvvigionamento dalla Cina al Sud-Est asiatico si sono trovate bloccate. Queste aziende speravano di evitare l’impatto dei dazi diversificando le loro fonti di approvvigionamento, ma sono state inaspettatamente colpite da politiche tariffarie diffuse che si sono estese oltre i confini della Cina.
Nel 2025, gli importatori si troveranno ad affrontare uno scenario sempre più complesso, segnato dall’incertezza legata ai dazi, dai mutamenti nelle politiche commerciali e dall’evoluzione dei modelli produttivi globali. Queste dinamiche costringeranno le imprese a rivedere le proprie strategie di approvvigionamento.
Secondo le previsioni, tali sfide continueranno a esercitare un impatto significativo sul settore, imponendo un approccio sempre più prudente in un contesto commerciale internazionale instabile e in costante mutamento.
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