Questo è il Paese che ha la maggiore riserva di petrolio al mondo: più di 300 miliardi di barili di oro nero e infatti si sostiene con l’esportazione, garantendo ad altri i picchi di produzione.
Russia e Stati Uniti, tra le maggiori potenze mondiali sotto vari punti di vista, se la cavano decisamente bene nel campo petrolifero. Territori ricchi e sapientemente sfruttati, oltre all’importazione di materie prime, garantiscono loro un ruolo di prestigio nella produzione. Il primo produttore al mondo di petrolio sono proprio gli Stati Uniti, mentre la Russia detiene la medaglia di bronzo, appena dietro l’Arabia Saudita. Gli americani producono petrolio per quasi 20 milioni di barili al giorno, mentre Mosca garantisce circa 11,2 milioni di barili giornalieri. Un livello di produzione impareggiabile, che però non è dovuto alla disponibilità di oro nero nelle proprie terre.
Il Paese che ha la maggiore riserva di petrolio al mondo non è tra questi, né occupa i primi posti nella classifica dei produttori (seguono la Russia Canada e Iraq). La più grande riserva di petrolio, 4 volte quella della Russia e ben 6 volte quella degli Stati Uniti, è infatti in Venezuela. Con 303,8 miliardi di barili, secondo i dati della pubblicazione The world factbook(edizione 2024) della CIA, nessun altro Stato la eguaglia. Soltanto l’Arabia Saudita, con i suoi 258,6 miliardi di barili, si avvicina a questo numero impressionante. Certo, l’Arabia Saudita è seconda anche nella classifica della produzione, in cui il Venezuela arranca a dir poco. Cerchiamo di capire perché.
Il Paese con la più grande riserva di petrolio
Come anticipato, il Paese con la più grande riserva di petrolio del mondo è il Venezuela, che con i suoi 303,8 miliardi di barili supera di 4 volte la Russia e di 6 volte gli Stati Uniti. Di seguito la top 10 dei Paesi.
- Venezuela: 303,8 miliardi di barili di petrolio;
- Arabia Saudita: 258,6 miliardi di barili di petrolio;
- Iran: 208,6 miliardi di barili di petrolio;
- Canada: 170,3 miliardi di barili di petrolio;
- Iraq: 145,5 miliardi di barili di petrolio;
- Kuwait: 101,5 miliardi di barili di petrolio;
- Emirati Arabi Uniti: 97,8 miliardi di barili di petrolio;
- Russia: 80 miliardi di barili di petrolio;
- Libia: 48,3 miliardi di barili di petrolio;
- Stati Uniti: 47,1 miliardi di barili di petrolio.
I dati non combaciano affatto con quelli sulla produzione dell’oro nero, che vedono il primato assoluto statunitense. Fa eccezione l’Arabia Saudita, seconda sia per produzione petrolifera che per riserve, con una posizione senza dubbio invidiabile. Il Venezuela, intanto, primeggia per l’assortimento della riserva di idrocarburi, con quantità notevoli anche per quanto riguarda il gas naturale e possibili ulteriori tesori nascosti.
Il tesoro nascosto del Venezuela, che fine farà quel petrolio?
Secondo i ricercatori i giacimenti petroliferi venezuelani potrebbero contenere idrocarburi non convenzionali in quantità abnormi, con un ammontare di petrolio greggio non convenzionale nella fascia dell’Orinoco fino a 1.300 miliardi di barili. Se si considera che la stima di riserva mondiale di petrolio convenzionale nel mondo è di 1.500 miliardi di barili, è facile capire quanto ricche siano le profondità del Venezuela. Ci sono però importanti difficoltà di estrazione, lavorazione e trasporto che impediscono il pieno sfruttamento della materia prima.
Si tratta principalmente di petrolio extrapesante, estremamente viscoso e denso, spesso mescolato alle formazioni sabbiose. I costi per approvvigionarsi dell’extra pesado venezuelano, che si trova tra i 150 e 1.400 metri di profondità, possono dunque risultare troppo elevati.
Una recente ricerca di Rystad Energy mostra inoltre che il crescente aumento dei costi di lavorazione sta rallentando l’estrazione di petrolio pressoché ovunque nel mondo, compreso il Venezuela. Quest’ultimo, come il Canada, eccelle per le riserve perché si tiene in considerazione anche delle sabbie bituminose, da cui è possibile ricavare il petrolio sintetico. In questo senso, i depositi statunitensi e russi, come anche quelli dell’Arabia Saudita appaiono quindi più affidabili, per quanto le stime preannunciano che almeno 500 miliardi di barili resteranno bloccati.
I costi salati dovrebbero infatti limitare sempre di più lo sfruttamento dell’oro nero, favorendo al contempo il passaggio a fonti di energia sostenibile, anche perché il petrolio presente sulla Terra dovrebbe comunque esaurirsi entro 50/70 anni. Uno scenario tutt’altro che ottimistico, visto che con il picco di produzione previsto intorno al 2030 si avvicina una profonda crisi energetica destinata a scuotere l’economia di tutto il pianeta.
Come fanno gli Stati Uniti a produrre così tanto petrolio?
Cominciamo dicendo che soltanto il 40% del petrolio statunitense proviene da giacimenti autoctoni, principalmente in Texas, Alaska e California. Parte del petrolio locale viene comunque esportato all’estero, per esempio in Giappone, mentre Washington si garantisce il restante 60% del proprio fabbisogno attraverso l’importazione, attingendo di fatto ai giacimenti di tutto il mondo.
Lo stesso Venezuela è tra i tanti Paesi che riforniscono gli Stati Uniti con le proprie materie prime, contribuendo alla diversificazione della catena di approvvigionamento. La chiave del successo statunitense, tuttavia, è da ricercarsi anche nella lungimiranza e nei conseguenti massicci investimenti realizzati. Una capacità che Paesi poveri come il Venezuela non possono sperare di eguagliare, dovendo sostenenersi principalmente attraverso la vendita del petrolio, senza poter sopportare i costi di produzione.
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