Reddito di Cittadinanza: i primi che ne hanno fatto domanda sono stati penalizzati, ecco per quale motivo servirebbe una “sanatoria”.
Reddito di Cittadinanza: com’è possibile che i primi a farne domanda siano stati penalizzati? Eppure è così, basti guardare quanto previsto dalla normativa e quanto successo causa ritardi da parte delle istituzioni riguardo all’avvio della politica attiva.
Come noto, il Reddito di Cittadinanza prevede una serie di obblighi per coloro che ne fanno richiesta: per questi, ad esempio, vi è l’obbligo di accettare almeno una delle tre offerte di lavoro congrue, la cui congruità viene definita anche sulla base della distanza territoriale dall’indirizzo di residenza (e non di domicilio).
Tuttavia, dalla partenza del Reddito di Cittadinanza a quella delle operazioni relative all’avvio della politica attiva sono passati diversi mesi ed è anche per questo che - come dimostrano i dati resi noti dalla Corte dei Conti - solo una piccola parte dei beneficiari ha trovato un impiego grazie al percorso di accompagnamento al lavoro gestito dai Centri per l’Impiego con il supporto tecnico dei Navigator.
Per questo motivo, i primi a fare domanda per il Reddito di Cittadinanza hanno potuto firmare il Patto per il Lavoro molti mesi dopo dalla prima erogazione del beneficio, e non per colpe loro. Eppure questi dovranno sottostare comunque a quanto previsto dall’attuale normativa, la quale prevede delle regole più severe per quanto riguarda l’accettazione delle offerte di lavoro congrue per coloro che percepiscono il Reddito di Cittadinanza da più tempo.
I primi beneficiari del Reddito di Cittadinanza sono stati penalizzati: ecco perché
Per quanto riguarda l’accettazione delle offerte di lavoro congrue, la normativa vigente stabilisce che la prima deve far riferimento ad un arco territoriale di 100 chilometri, la seconda di 250 chilometri mentre la terza può arrivare da tutta Italia.
Tuttavia, decorsi i 12 mesi di fruizione del beneficio - come successo per tutti coloro che hanno fatto domanda tra marzo e giugno del 2019 - già la prima offerta di lavoro congrua può far riferimento ad una distanza di 250 chilometri.
Non più 100 chilometri, quindi, ma 250. Va detto, però, che se sono passati più di 12 mesi per la presentazione della prima offerta di lavoro congrua non è di certo colpa di questi beneficiari, né tantomeno di chi si sta occupando della loro ricollocazione. Questo, infatti, è motivato dal ritardo con cui è partita la politica attiva: basti pensare che le prime convocazioni da parte dei Centri per l’Impiego sono partite da settembre 2020, ben sei mesi dopo dall’erogazione delle prime mensilità.
Ci sono beneficiari convocati per la prima volta dopo sette o otto mesi dall’erogazione del beneficio, un ritardo che andrebbe riconosciuto al fine di trovare una soluzione per non penalizzare queste persone.
Anche perché, nel secondo periodo di fruizione, quindi dopo i primi 18 mesi e in seguito al rinnovo della domanda, già la prima offerta di lavoro congrua può arrivare da tutta Italia, eccetto che per quei nuclei familiari dove ci sono minorenni o disabili gravi per i quali il limite è sempre di 250 chilometri. E in questo caso, già al rifiuto della prima offerta scatta la decadenza del Reddito di Cittadinanza.
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Visto quanto detto in precedenza, però, anche questa sorta di penalizzazione - legittima nel caso in cui la riforma dei CpI fosse stata a regime - non ha motivo di esistere alla luce dell’attuale situazione: non è colpa del beneficiario, infatti, se nel primo periodo di fruizione non è riuscito a ricollocarsi, poiché la politica attiva ha avuto una durata limitata rispetto ai 18 mesi previsti dalla normativa.
Altro esempio è quello dell’assegno di ricollocazione, misura centrale nel percorso di accompagnamento al lavoro. Il decreto attuativo che rende operativo questo strumento è stato approvato solamente a febbraio 2020 e - complice l’emergenza sanitaria e il lockdown - sono pochissimi i beneficiari a cui questo è già stato riconosciuto.
Come risolvere?
Anche alla luce delle difficoltà causate dall’emergenza COVID-19, che inevitabilmente ha rallentato le procedure per il reimpiego, bisognerebbe prevedere una sorta di “sanatoria” per i suddetti beneficiari, consentendo loro di ripartire da zero una volta che potranno fare nuovamente richiesta del beneficio, ovvero dando loro la possibilità di rifiutare le offerte di lavoro congrue che arrivano oltre i 100 chilometri.
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