Reddito di cittadinanza: cosa farà Giorgia Meloni? Non si tratta di una decisione semplice, anche perché le istituzioni premono per un mantenimento della misura.
Giorgia Meloni è a un bivio: scegliere se adottare la linea dura riformando interamente il reddito di cittadinanza, con l’intento di toglierlo a tutti coloro che possono lavorare, oppure se mantenere la misura introducendo dei correttivi che possano renderla più funzionale.
Non si tratta di una decisione di poco conto: da una parte c’è la coerenza nei confronti dei propri elettori, visto che da sempre Giorgia Meloni si è posta come principale detrattrice del reddito di cittadinanza (probabilmente seconda solo a Matteo Renzi), dall’altra la richiesta delle istituzioni che chiedono di mantenere un sostegno al reddito per le famiglie in povertà.
Un appello affinché il reddito di cittadinanza possa essere mantenuto è arrivato di recente da parte dell’Europa, e anche l’ultimo rapporto 2022 della Caritas sulla povertà ha messo in risalto una “situazione preoccupante” che non può prescindere dal riconoscimento di un sostegno al reddito per chi è in difficoltà.
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Basti pensare che nonostante l’introduzione del reddito di cittadinanza, che secondo Luigi Di Maio avrebbe dovuto cancellare la povertà, il numero di persone in povertà assoluta è persino triplicato negli ultimi 15 anni: da 1,8 milioni nel 2007 a 5,6 milioni nel 2021.
Eliminare il reddito di cittadinanza potrebbe comportare un ulteriore peggioramento, ma mantenerlo così com’è oggi non avrebbe comunque senso visto che, nonostante il presidente dell’Inps Pasquale Tridico sostenga il contrario, il reddito di cittadinanza non ha contribuito a creare lavoro, o comunque molto meno rispetto a quanto si sperava inizialmente.
Perché il reddito di cittadinanza non ha creato lavoro
Pasquale Tridico, presidente dell’Inps, durante la presentazione del rapporto annuale dell’istituto di previdenza che ha tenuto presso l’Università di Palermo, ha messo in luce i benefici del reddito di cittadinanza: riduzione del tasso di irregolarità dei rapporti di lavoro, sceso dal 14 al 12,5%, e l’occupazione tornata ai livelli del 2019.
Aggiungendo poi che “il Rdc va a 3,5 milioni di persone e fra queste 400mila, il 20 per cento, ha un lavoro”.
Dichiarazioni che se non contestualizzate potrebbero far pensare a un successo del reddito di cittadinanza, come invece non è stato. Intanto perché i livelli di occupazione non hanno fatto altro che tornare ai livelli pre pandemia; un incremento che era prevedibile con il ritorno alla normalità, ma che non si può dire dipenda dal reddito di cittadinanza.
E attenzione anche al dato sugli occupati: quel 20% di persone che lavora non è detto sia per merito della misura, in quanto la maggior parte aveva un impiego già prima di percepire il reddito di cittadinanza, o comunque lo ha trovato in autonomia senza passare dal centro per l’impiego.
Ci sono dati, invece, su cui Tridico ha preferito sorvolare: come illustrato dall’ultimo rapporto Anpal, su un totale di 920 mila beneficiari occupabili, il 73% non ha mai avuto un contratto da dipendente o in para subordinazione nei 36 mesi precedenti.
In tre anni (e mezzo) di reddito di cittadinanza, quindi, non hanno svolto alcun tipo di lavoro (almeno in regola) e ciò ha permesso loro di godere della misura oltre i 18 mesi previsti dalla normativa, semplicemente chiedendo un rinnovo per altre 18 mensilità. Anzi, in questi mesi ci sono persone che stanno rinnovando ulteriormente il Rdc, passando dal secondo al terzo periodo di fruizione, senza che nel frattempo i servizi pubblici per il lavoro - ai quali con la legge di Bilancio 2022 si sono aggiunti anche quelli privati - siano riusciti a dare risposte concrete.
Le ragioni di questi scarsi risultati sono diverse: da una parte i problemi strutturali che caratterizzano i servizi pubblici per il lavoro, come la mancanza di un’organizzazione chiara e un’uniformità di procedure su tutto il territorio, dall’altra, probabilmente la più importante, la crisi del mercato del lavoro acuita dalla pandemia e adesso dalla crisi energetica.
Ma non bisogna dimenticare qual è il profilo di chi prende il reddito di cittadinanza: nella maggior parte dei casi persone senza titolo di studio né competenze particolari, occupabili solamente sulla carta in quanto non appetibili alle aziende.
Perché Giorgia Meloni vuole eliminare il reddito di cittadinanza
Come detto sopra, Giorgia Meloni in campagna elettorale non ha mai fatto mistero della sua intenzione di cancellare il reddito di cittadinanza, togliendolo però solo a quei 920 mila beneficiari che possono lavorare.
Nel dettaglio, la leader di Fratelli d’Italia, che si appresta a diventare la prima presidente del Consiglio donna della storia della Repubblica, è convinta che destinando le risorse risparmiate all’introduzione di un nuovo incentivo per l’occupazione si potrà creare lavoro, così da risolvere alla base il problema.
Si parla di una sorta di superbonus del lavoro, con deduzioni dal 120 al 150% del costo sostenuto per l’assunzione, che andrebbe ad aggiungersi al lungo elenco d’incentivi per l’occupazione già previsti dal nostro ordinamento.
Sicuramente si tratterebbe di un incentivo utile a fare in modo che le aziende possano incrementare le assunzioni già nel breve periodo, migliorando i dati sull’occupazione, ma nel frattempo il beneficiario del reddito di cittadinanza resta difficilmente occupabile per mancanza di titoli e competenze. Parallelamente, bisognerebbe incentivare anche i percorsi di formazione, strumento su cui in questi anni abbiamo dimostrato di essere molto indietro.
Sicuramente un progetto che da una parte punta a riconoscere alle aziende maggior potere assunzionale e dall’altra a formare coloro che risultano difficilmente occupabili potrebbe davvero portare alla creazione di posti di lavoro, ma bisogna essere onesti e riconoscere che ci vorrebbe molto tempo prima di vedere i primi risultati.
Cosa fare nel frattempo con il reddito di cittadinanza?
Ecco quindi che la Meloni è a un bivio. Cancellare subito il reddito di cittadinanza, fermo restando che in qualità di diritto acquisito continuerebbe a essere riconosciuto fino a scadenza naturale, potrebbe mettere in difficoltà tutte quelle persone che non lavorano non per loro scelta ma perché davvero non riescono a trovare un impiego stabile.
Tant’è che di recente il commissario per l’occupazione e i diritti sociali dell’Ue, Nicolas Schmit, ha ribadito l’importanza di mantenere un reddito minimo in ogni Stato e di legarlo “fortemente alle politiche di accompagnamento e d’inclusione nel mercato del lavoro”.
Un po’ com’è il reddito di cittadinanza quindi, con la differenza che in questi tre anni e mezzo non c’è stata sufficiente volontà di far funzionare la misura. Sarebbe stato sufficiente, ad esempio, distinguere gli occupabili in due gruppi:
- chi non lavora perché non vuole, nei confronti dei quali basterebbe applicare quanto stabilito dalla normativa, ossia togliere la misura (che non si può richiedere per i successivi 18 mesi), a coloro che rifiutano più di un’offerta di lavoro, o persino al primo rifiuto quando scatta il secondo periodo di fruizione;
- chi non lavora perché non ne possiede titoli e competenze, nei confronti dei quali sarebbe stato necessario avviare (come tra l’altro previsto dalla legge che ha istituito il Rdc) dei percorsi di formazione così da colmare le mancanze e diventare appetibile alle aziende.
Piuttosto che cancellare il reddito di cittadinanza e andare contro a quanto ad esempio richiesto dall’Unione Europea, basterebbe mettere in atto i due suddetti punti così da vedere se davvero il reddito di cittadinanza non funziona; già togliendo il Rdc a coloro che rifiutano un lavoro, infatti, si risparmierebbero molte risorse da destinare alle aziende per incentivare le assunzioni, ma anche per avviare dei progetti formativi chiari che possano aiutare quei beneficiari che pur volendo lavorare non hanno un profilo adeguato a quanto ricercato dalle aziende.
Cosa farà quindi Giorgia Meloni? Distruzione del Rdc e ricostruzione con un nuovo strumento, oppure tenterà la strada dove i suoi predecessori hanno fallito, prendendosi così i meriti di aver fatto funzionare una misura pensata da altri? Ai posteri l’ardua sentenza.
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