Reddito di cittadinanza, quello che il governo non dice: i segreti della riforma

Simone Micocci

3 Maggio 2023 - 09:59

Reddito di cittadinanza cancellato ma al suo posto ci sarà una misura molto simile per durata, requisiti e importi.

Reddito di cittadinanza, quello che il governo non dice: i segreti della riforma

Il governo dovrà ammettere prima o poi di aver avuto più di una difficoltà nel procedere con il piano di cancellare il Reddito di cittadinanza. D’altronde Giorgia Meloni in campagna elettorale lo aveva sbandierato più volte, annunciando una stretta al Reddito di cittadinanza in quanto “chi è nella condizione di poter lavorare è giusto che lo faccia”.

Tuttavia, è necessario che il lavoro ci sia. Non basta parlare di 1 milione di posti di lavoro a disposizione nelle aziende se poi non si è capaci d’intervenire per far sì che ci sia l’incrocio tra domanda e offerta. E non è corretto puntare il dito contro chi prende il Reddito di cittadinanza - di fatto innescando una “guerra tra poveri” - dicendo che “chi non lavora è perché preferisce prendere un sussidio e starsene sul divano”.

D’altronde, può far comodo dare la colpa a chi prende il Reddito di cittadinanza anziché fare luce sulle carenze dell’apparato statale:

  • i servizi pubblici per il lavoro - sottodimensionati - che da soli non riescono a farsi carico del compito d’incrociare domanda e offerta, limitandosi perlopiù a un lavoro amministrativo che poco incide ai fini del risultato finale;
  • la carenza di corsi capaci di formare i disoccupati facendo acquisire loro le competenze innovative ricercate dalle aziende che assumono;
  • le poche offerte di lavoro stabili per quei profili a cui potrebbero concorrere i beneficiari del Reddito.

Senza dimenticare poi che in molti casi il beneficiario del Reddito di cittadinanza fa parte di un nucleo familiare con problematiche complesse, le quali limitano le probabilità di trovare un lavoro. Si pensi ad esempio a chi non ha disponibilità di un’auto e quindi deve limitarsi alle opportunità di lavoro vicino casa, oppure a chi non ha finito neppure le scuole medie e si ritrova in età avanzata, sopra i 50 anni ad esempio, senza titoli o particolari esperienze di lavoro.

Persone che non è semplice ricollocare ma che non possono essere neppure lasciate sole. E questo, nonostante i proclami contro il Reddito di cittadinanza, il governo Meloni lo sa: lo conferma il fatto che la riforma è molto diversa rispetto alle attese, in quanto l’Assegno d’inclusione è più simile al Rdc di quanto si immagini.

Ma questo il governo non lo dirà mai, in quanto vorrebbe dire legittimare il Reddito dopo mesi in cui è stato messo alla gogna come uno dei peggiori mali della storia della Repubblica. Ed è questa la ragione per cui ne è stato cambiato nome, così che tutti coloro che hanno votato il Centrodestra perché spinti anche dal fatto che i soldi destinati al Reddito di cittadinanza sarebbero stati utilizzati per misure volte a sostenere il reddito dei dipendenti o comunque a favorire le assunzioni, possano convincersi che la promessa sia stata mantenuta.

Cosa cambia tra Assegno d’inclusione e Reddito di cittadinanza

A eccezione del nome, ci sono poche differenze tra Assegno d’inclusione e Reddito di cittadinanza, specialmente dopo le modifiche che la legge di Bilancio 2023 aveva apportato a quest’ultima.

A godere dell’Assegno d’inclusione, infatti, saranno solamente quelle famiglie non interessate dalla stretta della manovra, ossia quelle con al loro interno almeno un:

  • minorenne;
  • disabile o percettore di assegno d’invalidità civile;
  • ultrasessantenne.

L’intenzione è quindi di tutelare quelle famiglie che al loro interno hanno uno o più componenti meritevoli di maggior tutela, indipendentemente dalla presenza di persone occupabili.

Per queste ci sarà lo stesso limite Isee del Reddito di cittadinanza, 9.360 euro, mentre per quanto riguarda il limite reddituale ci sono delle differenze: la base di partenza, infatti, è sempre di 6.000 euro ma può essere innalzata solamente in presenza di minorenni, oppure di persone disabili oppure over 60. Ciò significa che a differenza di oggi non viene considerato nella scala di equivalenza il componente maggiorenne occupabile, con conseguenze sia per quanto riguarda l’accesso alla misura che per il calcolo dell’importo.

È molto probabile, quindi, che alcune famiglie vengano tagliate fuori dalla platea dei potenziali beneficiari dell’Assegno d’inclusione, ossia tutte quelle che hanno un reddito superiore a 6 mila euro e non hanno al loro interno componenti capaci di incidere sulla scala di equivalenza.

Pensiamo a una famiglia composta da due genitori e due figli minorenni (di 5 e 6 anni): oggi il parametro di scala è pari a 1,8, con il limite di reddito che quindi sale a 10.800 euro. Con il passaggio all’Assegno d’inclusione sarà solo di 1,2 con il limite di reddito da non superare che quindi sarà pari a 7.200 euro.

Eccetto questo importante passaggio non ci sono differenze lato importi e requisiti, se non che per godere dell’Assegno d’inclusione basterà essere residenti in Italia da 5 anni (e non 10 come per il Rdc). Poche novità anche per la durata: nel primo periodo è di 18 mesi, dopodiché si potrà rinnovare - senza limiti - per altri 12 mesi.

E neppure sul funzionamento della misura ci sono tante differenze: anche in questo caso, infatti, la percezione del sostegno verrà legata alla partecipazione di una politica attiva.

Quindi, ancora una volta ci si affiderà ai centri per l’impiego - che nel frattempo continuano a essere in carenza di organico - ai quali verranno affiancati i servizi sociali e - novità - le agenzie private per il lavoro.

Vengono rese poi più severe le sanzioni: ad esempio, per offerte di lavoro stabili bisognerà accettare a prescindere dalla destinazione d’impiego. E per chi rifiuta scatta l’immediata decadenza della misura.

Ma le offerte di lavoro devono esserci: in questi quattro anni di Reddito di cittadinanza abbiamo più volte spiegato come nella maggior parte dei casi il beneficiario del Reddito di cittadinanza non interessa alle aziende, nonostante queste siano alla ricerca di personale da impiegare alle proprie dipendenze. Le ragioni sono diverse:

  • contesto sociale di provenienza;
  • età avanzata;
  • titoli di studio inadeguati;
  • mancanza di esperienze professionali;
  • poche competenze.

Su queste persone bisognerebbe intraprendere un percorso di inclusione, orientamento e formazione che però richiederà tempo anche perché come prima cosa bisognerà intervenire sulla macchina amministrativa per fare in modo che i problemi riscontrati con il Reddito di cittadinanza non si ripetano. Bisognerà essere pazienti quindi, dando il tempo a persone che sono fuori dal mercato del lavoro ormai da anni di potersi riqualificare. Perché è vero che la povertà si contrasta con il lavoro e non con i sussidi, come più volte sottolineato dalla presidente del Consiglio, ma affinché ciò succeda è necessario che ogni persona venga messa nella condizione di avere un lavoro.

E poco importa se con l’Assegno d’inclusione viene previsto un nuovo sgravio contributivo per chi assume un beneficiario (100% fino a un massimo di 8.000 euro l’anno): sicuramente sarà un incentivo ulteriore, ma va detto che di bonus assunzioni ce ne sono già diversi e i dati raccolti in questi anni hanno confermato che non sono sufficienti per far sì che un’azienda cambi idea su una persona che non soddisfa i requisiti richiesti. Non sarà quindi un nuovo incentivo a far sì che un datore di lavoro sia interessato ad assumere un percettore di Assegno che non ha titoli né esperienze.

Il governo Meloni è consapevole di questi problemi, ma non lo dirà mai

Cosa non ci dice allora il governo Meloni? Intanto che il Reddito di cittadinanza non è stato cancellato: semmai ne viene ridotta la platea, ma i risparmi saranno inferiori rispetto alle attese: in totale si stima un costo di 5,4 miliardi, poco meno rispetto a quanto costerà il Reddito di cittadinanza nel 2023.

Senza dimenticare poi che per gli “occupabili” che fanno parte di famiglie che al loro interno non ci sono minori, disabili o anche ultrasessantenni, ci sarà comunque un sostegno di cui godere per il tempo necessario alla formazione. Si chiamerà Strumento di attivazione, con il quale coloro che intraprendono percorsi di attivazione lavorativa avranno diritto a un assegno di 350 euro erogato per 12 mensilità.

Nessuno, o quasi, verrà quindi lasciato solo: una presa di coscienza del fatto che le colpe non erano tutte del Reddito di cittadinanza, come si vuole far credere ancora oggi, in quanto sono i problemi strutturali a limitare le opportunità d’impiego di tante persone.

Quindi prima verrà data attuazione dell’articolo 4 della Costituzione - “la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto” - e poi, laddove i risultati raggiunti dovessero essere migliori rispetto a quelli degli ultimi governi, si potrà dire addio alle forme di sussidio per coloro che, almeno sulla carta, sono occupabili.

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