La viceministra al Lavoro, Teresa Bellucci, spiega a Money.it come il governo Meloni vuole riformare il Reddito di cittadinanza e cosa ne sarà delle 846mila persone che lo perderanno a fine estate.
La riforma del Reddito di cittadinanza, per sostituirlo con un nuovo strumento nel 2024 e “accompagnare” le quasi 850mila persone che lo perderanno nel 2023, sarà pronta entro fine marzo. A spiegarlo a Money.it è la viceministra del Lavoro, Teresa Bellucci.
Secondo l’esponente di Fratelli d’Italia non ci sarà alcuna “bomba sociale” quando ad agosto 404mila nuclei familiari perderanno definitivamente il sussidio. La viceministra, infatti, spiega che il governo Meloni e il ministero (guidato da Marina Calderone) sono al lavoro sui corsi di formazione da offrire a tutti i cosiddetti occupabili, anche utilizzando il programma Gol del Pnrr. Alla scadenza, però, mancano solo 5 mesi e il tempo stringe, motivo per cui l’opposizione, a partire dal Movimento 5 Stelle, preme per risposte più precise e concrete.
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La viceministra, tuttavia, parla di una “precedente gestione fallimentare del Reddito, che ha fatto sì che non ci fosse la presa in carico dei percettori del sussidio per l’inclusione sociale e l’avviamento al lavoro”. Imputati sono proprio i due governi Conte. Con la nuova riforma, comunque, chi continuerà a percepire il sussidio potrebbe vedere degli importi più alti degli attuali e potrebbero essere inclusi anche i clochard.
Infine la viceministra spiega che entro il 2024 arriverà il nuovo assegno universale per gli anziani non autosufficienti e non esclude interventi del governo a favore della settimana lavorativa corta a parità di salario e per la proroga dello smart working a fragili e lavoratori con figli under 14 oltre il 30 giugno.
Come ha stabilito il governo in manovra, ad agosto i cosiddetti “occupabili” (circa 846mila persone) perderanno il Reddito di cittadinanza. Sono partiti ora i corsi di formazione per 160mila persone con il programma Gol del Pnrr e per gli altri si attende il piano con le linee guida generali sui corsi di formazione dal ministero del Lavoro. Mancano solo 5 mesi, farete in tempo?
Noi ci siamo presi un compito arduo e coraggioso: intervenire su una misura come il Reddito di cittadinanza che oggettivamente ha fallito in termini di politiche attive del lavoro e di contrasto alla povertà. L’Istat ha dimostrato come i 28 miliardi spesi finora per il sussidio hanno avuto un impatto sulla povertà in termini di riduzione dell’1,4%. Altri strumenti, come l’Assegno unico per i figli a carico, con risorse bene inferiori (7 miliardi), hanno ridotto la povertà di percentuali più che doppie. Sul tema della formazione la precedente gestione fallimentare del Reddito ha fatto sì che non ci fosse la presa in carico dei percettori del sussidio per l’inclusione sociale e l’avviamento al lavoro. Quello che abbiamo fatto noi al ministero del Lavoro è prendere subito in carico le persone che possono lavorare, verificando le loro caratteristiche e i loro bisogni e avviandoli ai successivi step. Quindi i corsi di formazione partiranno sulla base della presa in carico delle persone, in base alle loro potenzialità ed esigenze. Non abbiamo la bacchetta magica, stiamo cercando di mettere mano a ciò che i governi precedenti non hanno fatto, a partire dall’esecutivo Conte che ha creato il Reddito. Le persone non dovevano essere formate oggi, ma ieri.
Siete fiduciosi, quindi, entro la scadenza che avete messo di fine luglio di aver avviato tutte le 846mila persone che perderanno il Reddito ai corsi di formazione per inserirsi nel mondo del lavoro?
Questo lo dice lei. La formazione è una cosa sensibile e delicata, che va tarata sui bisogni specifici delle persone: non si possono fare gli stessi corsi per centinaia di migliaia di persone. Ce ne stiamo occupando, con una gestione sostenibile: stiamo facendo il possibile. Aggiungo che si sono fatte delle stime sulla platea interessata, ma non ci sarà un giorno con una scadenza per tutti gli occupabili, perché dipende anche da quando si è iniziato a percepire il Reddito, che vale 18 mesi. Il termine per alcuni potrebbe scadere prima di agosto.
Ma ora che il Paese ha raggiunto il record di occupati, se non si avviano queste persone al lavoro ad agosto non rischiamo una bomba sociale, con centinaia di migliaia di persone che si trovano all’improvviso disoccupate e senza sussidi?
Non facciamo disinformazione, creando allarme sociale: tutte le persone che sono in difficoltà continueranno ad avere un sostegno economico e in aggiunta, con la riforma che faremo, creeremo una gestione efficiente ed efficace. La riforma non interverrà solo per il 2024, sostituendo il Reddito con nuove misure, ma anche prima, nella fase di transizione di fine anno, dando pianificazione e sostenibilità, con un’attività maggiore dei centri per l’impiego e l’implementazione del sistema Gol.
La riforma del Reddito come funzionerà e quando sarà pronta?
Stiamo scrivendo il testo, per la fine di marzo potrà essere a disposizione per poi essere discusso dal governo e dal Parlamento. Lavoriamo su un doppio binario: uno strumento di inclusione sociale per chi ne ha bisogno, come le persone fragili, a cui il governo non farà mancare il proprio aiuto, e nuove politiche attive del lavoro. La riorganizzazione permetterà di contrastare meglio la povertà e avviare meglio le persone alle attività lavorative, potenziando i centri per l’impiego e le attività di intermediazione accreditate al ministero del Lavoro, anche tramite nuove tecnologie. Sono due misure distinte che vanno trattate come tali, non più con uno strumento unico che fa confusione.
Con la cancellazione del Reddito di cittadinanza a partire dal 2024 sono state eliminate anche le sanzioni per chi viola le regole (i cosiddetti ’furbetti’): interverrete per fare marcia indietro? E per i fragili che prenderanno il nuovo sussidio gli assegni potrebbero aumentare?
Troveremo il modo per porre rimedio all’errore: ci sono interventi che possono avvenire in sede parlamentare o anche da parte del governo. Per i fragili il nostro obiettivo è potenziare gli strumenti di contrasto alla povertà: serve un sostegno economico che garantisca l’inclusione sociale, ma c’è bisogno anche di servizi, assistenza domiciliare e mediazione culturale, che permettano l’inserimento e l’autosufficienza. Il solo sussidio esclude molti poveri. La Caritas ce lo ha detto: il 50% dei poveri non prende il Reddito di cittadinanza e tanti clochard non hanno nulla. Dobbiamo essere vicini alle persone, quindi possiamo rivedere gli importi, ma se non interveniamo a 360° gradi vuol dire che ci giriamo dall’altra parte di fronte alla fragilità, non aiutando davvero chi ne ha bisogno.
Al ministero del Lavoro in questi mesi si è occupata di anziani e terzo settore. Quando arriverà per gli anziani non autosufficienti la nuova «prestazione universale» e quanto varrà?
Abbiamo approvato in Consiglio dei ministri il cosiddetto Patto per la terza età, un disegno di legge delega che affronta diverse problematiche, tra cui le politiche attive e la non autosufficienza degli anziani, prevedendo appositi servizi. Il testo è arrivato al Senato e dopo i lavori in Commissione, dove tutti (maggioranza e opposizione) hanno dato il loro contributo, ora arriverà in aula. Siamo la prima nazione in Europa per numero di anziani e la seconda nel mondo dopo il Giappone, quindi dovevamo fare qualcosa. La delega al governo, collegata al Pnrr, sarà pubblicata in Gazzetta entro la fine di marzo, poi entreremo nella fase di scrittura dei decreti legislativi ed entro la fine del 2024 disegneremo le nuove regole e i nuovi servizi con tutti i dettagli del caso. La prestazione unica, in parte economica, in parte come sistema dei servizi, sarà solo una delle opportunità.
Per il terzo settore cosa state facendo?
Si è approvato il Codice del Terzo settore nel 2017, ma l’iter non è finito, mancano vari decreti attuativi. Dobbiamo quindi completare la riforma e intervenire anche sulla fiscalità (con trasparenza e semplificazione) e sulla valutazione dell’impatto sociale di quanto fatto. Lo stiamo facendo in via prioritaria, perché il terzo settore è fondamentale per reggere il welfare di questa nazione.
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Il ministro delle Imprese Adolfo Urso ha detto che si può ragionare sulla settimana lavorativa corta di quattro giorni a parità di salario. Società come Intesa Sanpaolo e Lavazza stanno facendo degli esperimenti in tal senso (riducendo però l’orario settimanale solo di 1/2 ore): si può pensare a un provvedimento su base nazionale?
Il ministro ha illustrato la posizione del governo, che è una posizione di verifica, senza preclusione. Vediamo se è possibile introdurre qualcosa di sostenibile. In questo governo l’obiettivo è stare sui contenuti, tramite la conoscenza approfondita delle materie. Ciò che incentiva il lavoro, aumenta la qualità della vita e la rende sostenibile, sia nei compiti di occupazione che di cura, riceve il nostro sostegno. Tuttavia la cosiddetta settimana corta è tutta da verificare: deve essere sostenibile in ogni parte d’Italia.
Per quanto riguarda lo smart working avete deciso di prorogarlo per i fragili fino al 30 giugno e per i lavoratori con figli under 14 solo nel privato. Pensate di eliminare questa disparità e andare andare oltre il 30 giugno?
Verificheremo il da farsi, intanto con il decreto Milleproroghe abbiamo dato attenzione alle persone che più ne avevano bisogno. Lo Stato si è mostrato vicino e non ci siamo distratti. Capiremo come andare avanti in base alle sostenibilità di eventuali proroghe oltre il 30 giugno.
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