Si fa il referendum sul taglio dei parlamentari: il governo ora trema

Alessandro Cipolla

18 Dicembre 2019 - 15:52

Raggiunte al Senato le 64 firme necessarie per chiedere un referendum sul taglio dei parlamentari: così facendo l’entrata in vigore della riforma viene allontanata e in caso di una fulminea crisi di governo si voterebbe con l’attuale legge elettorale.

Si fa il referendum sul taglio dei parlamentari: il governo ora trema

Manca solo il loro approdo in Cassazione, ma ormai le 64 firme necessarie in Senato per chiedere un referendum sulla riforma del taglio dei parlamentari sono state raccolte e la consultazione si farà con ogni probabilità in primavera.

Ad apporre le proprie firme sono stati senatori provenienti da tutti i partiti a eccezione di Lega e Fratelli d’Italia, anche se si mormora che Matteo Salvini sia stato molto attivo per la causa visto che per la Lega adesso si potrebbero aprire scenari molto interessanti.

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Fare il referendum vuol dire che il taglio dei parlamentari non entrerà in vigore il prossimo 12 gennaio, concedendo così una finestra di alcuni mesi entro la quale nel caso di una crisi di governo si andrebbe a votare con il vecchio Rosatellum.

Niente 345 poltrone in meno e soglia di sbarramento molto abbordabile al 3%, due fattori che potrebbero spingere quei partiti della maggioranza con più mal di pancia a staccare la spina al Conte bis e andare così alle urne per la felicità di un Salvini che non aspetterebbe altro.

Un referendum sul taglio dei parlamentari

Quando lo scorso ottobre è stato approvato in maniera definitiva dal Parlamento il taglio dei parlamentari, che prevede 230 senatori e 115 senatori in meno, subito si era capito che c’era solo un modo per chiedere un referendum confermativo sulla riforma.

Nessuna raccolta firme popolare infatti è stata intrapresa, così come non si sono mossi i vari Consigli Regionali. Il quorum delle firme di 64 senatori, un quinto del totale a Palazzo Madama, è invece stato ora raggiunto.

Una volta consegnato il foglio in Cassazione, inizierà l’iter referendario che di fatto andrà a stoppare l’entrata in vigore della riforma che altrimenti sarebbe andata in Gazzetta il prossimo 12 gennaio.

Se il governo dovesse cadere prima della realizzazione del referendum, gli italiani saranno di conseguenza chiamati a votare con l’attuale sistema di voto andando a eleggere, probabilmente per l’ultima volta, 945 parlamentari invece che 600.

Un particolare questo non di poco conto e che fa tremare Conte, anche perché altrimenti non si capirebbe il motivo di un referendum che, oltre a costare 300 milioni, avrà un esito scontato con la vittoria del Sì praticamente certa e con percentuali bulgare.

Trema il governo

Appare lampante che la scelta di indire la consultazione sia soltanto un motivo per andare eventualmente al voto con l’attuale legge elettorale. Resta da capire però a chi la cosa converrebbe oltre al centrodestra che uscirebbe certamente vincitore dalle urne.

Con una soglia di sbarramento del 3% Italia Viva dormirebbe sonni tranquilli, visto che con il taglio si sarebbe poi fatta una legge elettorale tutta proporzionale e con una asticella più alta tanto che si parlava del 5%.

Il Movimento 5 Stelle con una crisi perderebbe molti parlamentari e la possibilità storica di stare al governo, ma potrebbe tirare fuori dal cilindro una proroga per i parlamentari al secondo mandato ed evitare una maggiore tagliola che avverrebbe con il taglio dei parlamentari.

Stesso discorso per il Partito Democratico, con Nicola Zingaretti che potrebbe fare piazza pulita dei renziani rimasti riportando in Parlamento un numero identico di deputati e senatori rispetto all’attuale legislatura.

L’unico a cui la notizia del referendum non avrà di certo fatto piacere è Giuseppe Conte, che comunque è dato in pole come eventuale candidato premier della coalizione di centrosinistra con il PD che lo potrebbe opporre al grande nemico Matteo Salvini.

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