La storica azienda di cosmetici ha depositato la richiesta di protezione per fallimento ai sensi del chapter 11 per continuare a operare mentre predispone un piano di rimborso per i creditori.
Revlon verso il fallimento con il deposito dell’istanza al tribunale di New York ai sensi del “chapter 11”. La pandemia, l’aumento dei costi e la crisi della catena di approvvigionamento hanno dato il colpo di grazia a un’azienda che da tempo non soffriva di un ingombrante carico di debiti.
Il deposito del chapter 11 è finalizzato a riorganizzare le attività patrimoniali della società per consentire il proseguimento della gestione operativa.
La storia di Revlon
Revlon debutta nel mondo dei cosmetici nel periodo della Grande Depressione. Nel 1932 i fratelli Revson e il chimico Charles Lachman lanciano sul mercato il primo smalto con pigmenti colorati in luogo delle vernici utilizzate fino a quel momento, riuscendo ad allargare la gamma cromatica con un procedimento rivoluzionario che conquista le donne di tutto il mondo.
Con una presenza in oltre 150 paesi, Revlon può essere annoverata tra i leader mondiali della cosmesi.
Nonostante le spiccate capacità di innovazione e di marketing dimostrate nel corso della storia, specie dopo l’internazionalizzazione nel 1955, la società inizia ad avere problemi negli anni ’80, quando la sua storia si intreccia con quella di Ronald Perelman: nel 1985 Revlon viene comprata dal miliardario attraverso una holding di investimento, McAndrews & Forbes, per 2,7 miliardi di dollari. L’operazione (controversa) viene conclusa con l’aiuto di Michael Milken, il re dei titoli spazzatura, e porta con sé un enorme debito di 2,9 miliardi di dollari. Ronald Perelman raggiunge la fama in quegli anni quando compra aziende, le divide eliminando i rami meno efficienti, le rende profittevoli per poi rivenderle a cifre record. Ma con Revlon le cose sono andate diversamente.
A causa del forte indebitamento negli anni ’90, Perelman si libera di alcune divisioni vendendole a Procter & Gamble e a Johnson & Johnson (a cui passa il famoso marchio Clean & Clear) per circa due miliardi di dollari.
Nel 2011 Revlon acquisisce Mirage Cosmetic, nel 2015 la britannica CB.Beauty e nel 2016 la rivale Elisabeth Arden (per 870 milioni di dollari) aggiungendo altro debito ai conti già poco performanti. L’anno successivo il gruppo di controllo (costituito per il 60% da MacAndrews & Forbes, di proprietà di Ronald Perelman, e per il 20% da Fidelity Investments) rileva perdite trimestrali tra i 60 e gli 80 milioni di dollari: il Gruppo Revlon viene ristrutturato e suddiviso in quattro comparti: Revlon, Elisabeth Arden, Fragrances, Portfolio.
Nel 2018 la figlia di Ronald Perelman, Debra Perelman, passa dalla carica di COO a quella di CEO.
Revlon strozzata dai debiti e dalla concorrenza
Dei fasti del passato non resta quasi più nulla e Revlon è ora strozzata dai debiti e dalla concorrenza delle celebrità come Kylie Jenner e Rihanna che hanno lanciato le proprie linee cosmetiche.
Secondo il documento depositato al tribunale fallimentare di New York, i debiti di Revlon ammontano a un totale di 3,7 miliardi di dollari.
La domanda ai sensi del capitolo 11 è una richiesta di riorganizzazione patrimoniale e viene presentata per permettere alle aziende di continuare a operare mentre elaborano un piano di rimborso dei creditori. Revlon ha dichiarato che prevede di ricevere 575 milioni di dollari dai propri debitori che serviranno per finanziare le operazioni durante il fallimento.
«La domanda dei consumatori per i nostri prodotti rimane forte: le persone amano i nostri marchi e noi continuiamo ad avere una posizione di mercato sana. Ma la nostra complessa struttura del capitale ha limitato la capacità di affrontare le questioni macroeconomiche per soddisfare questa domanda», ha dichiarato in una nota Debra Perelman, amministratore delegato di Revlon.
Prospettive future per Revlon
C’è la possibilità che il tribunale fallimentare non accordi il Chapter 11. Su Revlon pende un contenzioso che risale al 2020 quando l’azienda scongiurò l’insolvenza concludendo un accordo con alcuni istituti di credito, tra cui Citigroup (che pagò erroneamente credito per 900 milioni di dollari anziché elaborare un tradizionale pagamento di interessi). Nell’ambito di quella transazione, c’è ancora un gruppo di creditori che vanta 500 milioni di dollari non restituiti e che potrebbe insinuarsi nella nuova procedura.
Impietoso il grafico del titolo al NYSE, attualmente a 1.95 dollari. Il titolo, che ad aprile 1998 era arrivato a quotare 563 dollari per azione, è sceso sotto i minimi del 2009 a 2,30 dollari registrando minimi assoluti a 1,08 dollari. Nel brevissimo termine è possibile un rimbalzo, dovuto ai riflettori puntati, ma non ci sono i presupposti per poter investire nel medio lungo termine.
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