Riforma pensioni tra bonus, riscatti gratuiti e più soldi sull’assegno: così si cambia la legge Fornero

Simone Micocci

16 Febbraio 2023 - 10:31

Riforma delle pensioni, primi dettagli su come sarà: dall’integrazione al minimo per i giovani allo sconto sull’età per le donne. E si torna a parlare di riscatto della laurea gratuito.

Riforma pensioni tra bonus, riscatti gratuiti e più soldi sull’assegno: così si cambia la legge Fornero

Emergono ulteriori dettagli sulla riforma delle pensioni che il governo Meloni ha messo in cantiere con l’obiettivo di superare alcune delle lacune lasciate dalla legge Fornero.

Al momento, come già abbiamo avuto modo di spiegare, la riforma è ancora molto indietro ma d’altronde il governo si è dato tempo qualche mese per poter arrivare a un accordo con i sindacati e individuare le risorse da stanziare con la prossima legge di Bilancio. Tuttavia, specialmente dopo l’incontro che si è tenuto lunedì scorso, abbiamo a disposizione qualche informazione in più per rispondere alla domanda su come sarà la riforma delle pensioni.

Va detto che il tema dell’ultimo incontro è stato donne e giovani, quindi non si è parlato ancora di quella misura di flessibilità che secondo gli intenti del governo Meloni dovrebbe servire a rivedere in toto la riforma Fornero. Perlopiù i temi affrontati hanno riguardato le lavoratrici, ampiamente penalizzate dalla nuova Opzione donna (sulla quale però non sono arrivate risposte) e sui contributivi puri, ossia coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il 1° gennaio 1996 e rischiano di pagare oltremisura le nuove regole di calcolo dell’assegno.

In particolare sono emerse le possibilità di riconoscere dei bonus, o meglio degli sconti, che consentano di andare in pensione con qualche mese - o anno - di anticipo rispetto a quanto previsto dall’attuale sistema; oppure si è tornati a parlare di riscatti gratuiti, così da valorizzare ad esempio gli anni di studio, così come d’integrazione al minimo in modo da garantire più soldi sull’assegno a chi rischia di prendere una pensione molto bassa.

Vediamo nel dettaglio in che modo queste misure andranno a modificare l’attuale sistema pensionistico italiano e perché potrebbero favorire donne e giovani.

Pensioni, per le donne bonus di 4 mesi per ogni figlio

Tra le misure discusse durante l’ultimo incontro tra ministero del Lavoro (era presente il sottosegretario Claudio Durigon) e i sindacati è emersa la possibilità di riconoscere a tutte le lavoratrici uno sconto di 4 mesi per ogni figlio sull’età pensionabile.

Un bonus che oggi vale solamente per le donne che hanno la pensione calcolata interamente con il contributivo, quindi coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il 1° gennaio 1996 oppure hanno optato per il computo della Gestione separata.

Estenderlo a tutte avrebbe un costo di circa 700 milioni di euro l’anno, ma permetterebbe alle donne di andare in pensione già prima dei 67 anni: a 66 anni e 8 mesi con un figlio, 66 anni e 4 mesi con due figli e 66 anni esatti con almeno tre figli. Prima non è possibile in quanto lo sconto in oggetto, introdotto dalla legge Dini, non può essere in ogni caso superiore ai 12 mesi.

Pensione senza requisito economico per i giovani

Oggi per accedere alla pensione di vecchiaia bisogna aver compiuto 67 anni di età e aver maturato 20 anni di contributi. Tuttavia, per i contributivi puri esiste un ulteriore requisito, di tipo economico: viene stabilito, infatti, che al momento del pensionamento l’assegno maturato deve avere un importo non inferiore a 1,5 volte il valore dell’assegno sociale. Se consideriamo che quest’anno l’assegno sociale vale 503,27 euro al mese, ne risulta che possono andare in pensione a 67 anni solamente i contributivi puri che hanno maturato una pensione mensile di almeno 754,90 euro.

Può sembrare un obiettivo facilmente raggiungibile ma non è detto sia così per tutti, anche perché bisogna considerare che il sistema di calcolo contributivo, guardando all’intera carriera del lavoratore, è molto più svantaggioso rispetto al precedente retributivo con il quale venivano valorizzate maggiormente le ultime retribuzioni.

E specialmente in futuro, quando il suddetto limite aumenterà in quanto soggetto a rivalutazione annua, andare in pensione a 67 anni per chi ha avuto carriere discontinue e percepito stipendi non elevati (situazione purtroppo comune a molti) potrebbe essere sempre più complicato.

Ragion per cui nel dibattito è emersa la possibilità di eliminare questo limite per i contributivi puri, permettendo loro di andare in pensione a 67 anni di età e 20 anni di contributi indipendentemente dall’assegno maturato.

Integrazione al minimo, più soldi sulla pensione

Altra penalizzazione attualmente in vigore per i contributivi puri è la preclusione all’integrazione al minimo.

Oggi per coloro che hanno almeno una parte di pensione calcolata con il retributivo esiste una salvaguardia che garantisce un importo minimo di pensione. Con tale strumento la pensione, se molto bassa, viene integrata fino al raggiungimento di un minimo fissato dalla legge che nel 2023 è pari a 563,73 euro. Paradossalmente, però, sono proprio coloro che rischiano di avere una pensione più bassa, vista la totale applicazione del sistema contributivo, a non avere diritto all’integrazione al minimo.

Per questo motivo da tempo si parla di pensione di garanzia, per tutelare tutti quei giovani che un domani rischiano di andare in pensione con un assegno molto basso. Un primo passo potrebbe essere proprio il riconoscimento dell’integrazione al minimo: se ne sta parlando, con il governo che promette il massimo impegno sul tema (tant’è che Giorgia Meloni ne ha parlato anche nel discorso d’insediamento alle Camere).

Riscatto della laurea gratuito?

Su questo tema ci sono molte incertezze, in quanto l’intenzione comune è sì d’irrubostire le agevolazioni previste per il riscatto della laurea ma nonostante si pensi a renderlo totalmente gratuito sarà molto complicato far quadrare i conti.

Ecco perché sono in ascesa le quotazioni per delle agevolazioni alternative: ad esempio la possibilità di riscattare fino a 3 anni di studio dopo la maggiore età, indipendentemente dall’eventuale conseguimento del titolo (come invece oggi è richiesto).

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