Un’analisi sull’industria del petrolio in Russia mostra che il 2023 sarà un anno record per le trivellazioni. Le sanzioni al greggio russo hanno fallito? E cosa si cela davvero dietro questo boom?
Dall’industria petrolifera della Russia continuano ad arrivare buone notizie per Putin e pessimi riscontri sulle sanzioni dell’Occidente.
Come sottolineato in una analisi su Bloomberg, la nazione russa è sulla buona strada per un secondo anno di trivellazioni petrolifere record nel 2023, ulteriore prova della resilienza di Mosca alle ritorsioni di Usa ed Europa per l’aggressione all’Ucraina.
Il boom dell’attività è andato di pari passo con una ripresa sia del volume che del valore delle esportazioni di petrolio russo, un chiaro esempio di come l’industria dei combustibili fossili del Paese sia stata una fonte cruciale di fondi per la guerra del presidente Vladimir Putin in Ucraina, che sta per entrare nel secondo anno.
Una vittoria per la Russia e la sconfitta dell’Occidente nel voler punire un settore prezioso per le casse di Mosca, mai realmente e completamente morto? La risposta è più complessa di quanto sembri.
In Russia è boom di trivellazioni petrolifere. Ma c’è un problema
Nei primi 11 mesi del 2023, la Russia ha perforato pozzi di produzione petrolifera con una profondità totale di 28.100 chilometri, secondo i dati di settore visionati da Bloomberg. Questo ritmo indica che il record post-sovietico dell’anno precedente sta per essere superato.
L’andamento così frenetico delle trivellazioni – in un contesto di produzione abbastanza statica – offre anche un’indicazione di alcuni problemi a lungo termine che potrebbero colpire il settore petrolifero russo a causa dell’isolamento internazionale di Mosca.
L’industria sta lavorando di più per mantenere la produzione dei suoi pozzi più vecchi, mentre i nuovi progetti che potrebbero sostenere la produzione nei prossimi decenni devono adattarsi alle mutate circostanze del Paese (che non ha più a disposizione la tecnologia occidentale).
Per l’intero 2023, secondo gli analisti della società di intelligence Kpler e del consulente con sede a Mosca Yakov & Partners, le perforazioni produttive della Russia raggiungeranno i 30.000 chilometri. L’aumento avviene nonostante la pressione dei Paesi occidentali sull’industria energetica russa. Il settore è stato oggetto di sanzioni che vanno dai divieti di importazione e limiti di prezzo, ai divieti di esportazione di tecnologia.
Gli analisti fanno notare che nel 2023, il boom delle trivellazioni si è affiancato ai tagli alla produzione che Mosca sta attuando in collaborazione con l’OPEC. Ciò suggerisce che l’elevato livello di attività è necessario semplicemente per mantenere la produzione aun livello stabile.
“La ragione principale della crescita delle trivellazioni russe è la necessità di lanciare nuovi pozzi, poiché i giacimenti attualmente in produzione si stanno esaurendo”, ha affermato Gennadii Masakov, direttore del centro di ricerca e approfondimento presso Yakov & Partners.
Secondo un documento di ricerca dell’Oxford Institute for Energy Studies, nel 2022, i giacimenti in funzione da più di cinque anni rappresentavano quasi il 96% della produzione totale petrolifera della Russia. Molti di questi progetti a monte hanno superato da tempo i livelli di picco di produzione, afferma il documento.
“Il declino naturale è un fattore normale” per l’industria nazionale, ha affermato Sergey Vakulenko, un veterano del settore che ha trascorso dieci dei suoi 25 anni di carriera come dirigente presso un produttore di petrolio russo.
L’esaurimento deve essere compensato con nuove trivellazioni nei siti esistenti, i cosiddetti brownfield, o con nuovi progetti noti come greenfield. Secondo uno studioso presso il Carnegie Endowment for International Peace di Berlino, “gli sviluppi greenfield pianificati prima della guerra sono stati concepiti pensando alle tecnologie occidentali e devono tornare al tavolo da disegno per essere adattati alle tecnologie disponibili”.
L’indipendenza tecnologica raggiunta dai trivellatori nazionali sarà sufficiente alla Russia per mantenere stabile la produzione nel medio termine, ha affermato Masakov di Yakov & Partners. Tuttavia, secondo le sue stime, nel corso del tempo, l’efficienza delle operazioni di trivellazione russe diminuirà, rischiando potenzialmente fino al 20% della produzione nazionale se le riserve non sfruttate diventassero antieconomiche da sviluppare.
Russia e sanzioni: gli effetti sull’industria del petrolio
Se, quindi, da una parte le restrizioni imposte alla Russia dalle nazioni occidentali hanno impattato sull’industria petrolifera russa in termini di carenza tecnologica (necessaria anche per le trivellazioni), dall’altra le sanzioni non sono state così efficaci.
L’anno scorso, gli Stati Uniti hanno sanzionato decine di aziende che producono attrezzature di perforazione e sviluppano nuove tecniche di produzione, con l’obiettivo di “limitare le future capacità estrattive della Russia”. Nel 2022 l’Unione Europea ha imposto “restrizioni globali alle esportazioni di attrezzature, tecnologie e servizi per l’industria energetica in Russia”.
Due dei più grandi fornitori di servizi petroliferi del mondo – Halliburton Co. e Baker Hughes Co. – hanno venduto le loro unità russe. Altri due giganti, SLB e Weatherford International Plc, hanno affermato che continueranno le operazioni nel Paese nel rispetto delle sanzioni.
I dati però indicano che queste misure restrittive hanno fallito il loro obiettivo di fermare del tutto il settore russo.
“Solo circa il 15% del mercato nazionale di perforazione dipende dalle tecnologie delle cosiddette nazioni ostili”, ha dichiarato Daria Melnik della Rystad Energy A/S con sede a Oslo.
Il ritiro delle principali società di servizi petroliferi occidentali dalla Russia ha avuto un impatto minimo perché ha lasciato in gran parte intatte le loro filiali locali. Queste operazioni “sono state per lo più vendute al management, conservando il know-how accumulato nel corso degli anni”, ha affermato Viktor Katona, capo analista del greggio presso Kpler.
Un ennesimo esempio, questo delle trivellazioni in Russia, di quanto sia ostico l’uso delle sanzioni e di come una nazione possa aggirare il loro impatto nel tentativo di sopravvivere. In fondo, il grande dilemma che insegna anche questa vicenda del petrolio russo è: quanto si paga caro lo stop al commercio regolato tra le nazioni?
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