Circola un report riservato del Cremlino sull’impatto di lungo termine per il Pil di bandi e veti europei. Tutto vero. Ma se Mosca può contare sul «fattore Jagger», Bruxelles ha le settimane contate
Inutile negarlo, la contrapposizione fra Russia e Unione Europea ha raggiunto un punto di svolta. O, forse, di non ritorno. La decisione di Mosca di bloccare del tutto il flusso di Nord Stream 1 e vincolarne la ripartenza al ritiro delle sanzioni può essere letta da due angolazioni. Una di forza, stante i prezzi sullo spot market, l’approssimarsi della stagione fredda e i primi salvataggi di utilities a rischio insolvenza. L’altra di debolezza, quasi il Cremlino accelerasse sul ricatto perché conscio di una situazione ormai da now or never.
In tal senso, da qualche ora circola un report riservato del Cremlino di cui Bloomberg avrebbe visionato le parti principali e che suona come un allarme: se mantenute, le sanzioni europee potrebbe costare all’economia russa fino a 11 punti di Pil e una Spoon River di settori industriali già decisamente fiaccati da questi mesi di isolamento internazionale e autarchia forzata. Innegabile. E questo grafico
contestualizza le traiettorie della crescita in base a tre scenari, dal più avverso al più benevolo. Ecco quindi che il partito della resistenza a oltranza ritrova argomenti ed entusiasmo, dopo le prime, visibili crepe nel fronte continentale.
Ed ecco la prima anomalia: il timing di questa scoperta relativa a una montante preoccupazione di Mosca. Subito dopo l’accordo fra Gazprom e governo ungherese su un aumento delle forniture, alla vigilia del vertice Ue sull’Energia a cui Budapest potrebbe quindi approcciarsi in modalità di veto sul tetto del prezzo al gas e, soprattutto, dopo la manifestazione di massa a Praga contro il caro-bollette e i salvataggi di aziende energetiche in Germania, Austria, Svezia e Finlandia. Tempismo notevole. E non basta. Perché i medesimi contenuti di questo sedicente report riservato e interno delle autorità russe sono presenti - pressoché identiche - in uno studio dello Yale Chief Executive Leadership Institute (CELI) dello scorso 16 agosto.
Coincidenze fortuite. ovviamente. In compenso, ecco il rovescio della medaglia. Plasticamente cristallizzato in queste poche righe contenute nel report di Goldman Sachs sullo scenario energetico europeo:
se Mosca rischia uno shock prolungato e un lento logoramento della sua resilienza, finora garantita da vendite energetiche sotto costo ad altri mercati come quello cinese e indiano, l’Europa è già oggi in regime di rischio, poiché a detta della banca newyorchese agli attuali prezzi dei contratti a 1 anno, la bolletta energetica per la famiglia media europea raggiungerà i 500 euro al mese già a inizio 2023, implicando un aumento del 200% sul 2021. Per l’Europa presa nella sua interezza, questo scenario implica un aumento da 2 trilioni di euro dei costi energetici, pari a circa il 15% del suo Pil.
Ora, a meno che anche Goldman Sachs non sia divenuta nottetempo un agente provocatore della propaganda russa, forse sarebbe il caso di soppesare le due minacce. Perché quello attualmente in atto è un pericoloso chicken game in modalità Gioventù bruciata, la classica gara di resistenza e coraggio al volante. Chi si getterà dell’auto in corsa per primo? Chiaramente, la matrice politico-ideologica pesa. Troppo. Perché rischia di annebbiare o distorcere la freddezza di analisi e giudizio. Con un discrimine enorme: il Cremlino può contare si quello che si può definite fattore Jagger, in quanto - come nella canzone dei Rolling Stones .- ha ancora il fattore tempo dalla propria parte. Sicuramente, più dell’Europa. La quale, nelle condizioni attuali, può resistere settimane. E non mesi interi.
E questo video pubblicato ieri con sadico tempismo da Gazprom annuncia un grande inverno di fronte a noi. Sicuri che valga la pena di continuare la gara, dando fondo al gas (in questo caso, simbolico) a disposizione e scommettendo tutto sui maggiori timori altrui? Se sì, va bene. Si acceleri pure. Ma occorre avvisare anche i passeggeri a bordo.
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