Chi lavora in smart working ha diritto al buono pasto? Generalmente no, ma ci sono delle eccezioni.
Chi lavora in smart working ha diritto al buono pasto? L’emergenza da COVID-19 ha modificato il modus operandi di tanti lavoratori: durante il lockdown il lavoro agile è diventato un’abitudine e ancora oggi molti lavoratori non hanno ancora fatto ritorno in azienda continuando a lavorare in smart working.
Tuttavia, se da una parte lo smart working ha dei vantaggi - si pensi solo alla comodità di non doversi spostare da casa - dall’altra ci sono state anche delle rinunce che i lavoratori hanno dovuto fare: ad esempio, con il passaggio al lavoro agile molti hanno dovuto rinunciare al buono pasto, anche quando il turno di lavoro comprende gli orari dei pasti.
Una decisione, quella del datore di lavoro che ha smesso di riconoscere il buono pasto al dipendente che lavora in smart working, del tutto legittima.
Salvo un caso specifico, infatti, per il telelavoro non vanno riconosciuti i buoni pasto; questo nonostante quanto previsto dall’articolo 20 della legge 81/2017 che prevede che il lavoratore la cui prestazione lavorativa viene resa in modalità agile ha diritto ad un trattamento sia economico che normativo non inferiore a quello che generalmente viene applicato nei confronti dei lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente presso la sede aziendale.
Quindi, nonostante chi lavora in smart working non deve essere penalizzato rispetto a chi lavora in sede, è legittimo il mancato riconoscimento dei buoni pasto; vediamo per quale motivo.
Niente buoni pasto per chi lavora in smart working: decisione legittima, ecco perché
Come anticipato, non contrasta con il suddetto articolo 20 la decisione del datore di lavoro che smette di riconoscere i buoni pasto per il dipendente passato a lavorare in smart working.
La Legge 81/2017, infatti, parla della necessità di riconoscere lo stesso trattamento economico per chi lavora in sede e per chi invece è in smart working (ovviamente a parità di mansioni). Letta così questa disposizione può far pensare al fatto che anche i buoni pasto debbano essere riconosciuti ad entrambi, tuttavia non è così.
Va detto, infatti, che il buono pasto non rientra nella retribuzione. A spiegarlo è l’articolo 6 del Decreto Legge 333/1992 (poi convertito con la Legge 359/1992), il quale esclude in linea generale il carattere retributivo dell’indennità di mensa. Si tratta, infatti, di un servizio sociale predisposto nei confronti della generalità dei lavoratori.
Quindi, non facendo parte della retribuzione non commette alcun illecito il datore di lavoro che smette di riconoscere il buono pasto quando vengono a mancare le circostanze che ne danno diritto, ovvero quando si smette di lavorare presso la sede aziendale.
Tuttavia, come già anticipato, c’è un caso in cui il buono pasto andrà riconosciuto anche a chi lavora in smart working; vediamo quando.
Buoni pasto anche a chi lavora in smart working: ecco quando
L’unica possibilità per chi lavora in smart working di beneficiare del buono pasto è quella per cui nel CCNL di riferimento venga prevista una diversa qualificazione - rispetto a quella descritta in precedenza - dell’indennità di mensa.
Nel dettaglio, nella contrattazione collettiva deve essere specificato che l’indennità di mensa non costituisce un servizio sociale in quanto assume un carattere retributivo vero e proprio.
Ad esempio, è così per quei contratti collettivi che riconoscono l’indennità sostitutiva a tutti i lavoratori, anche a coloro che non utilizzano il servizio di mensa. In tal caso il carattere assistenziale verrebbe meno e il buono pasto acquisirebbe una natura retributiva così da diventare computabile negli istituti retributivi differiti. Solo in tal caso chi lavora in smart working ne avrebbe diritto.
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