A 25 anni dalla strage mafiosa di via D’Amelio sono ancora tanti i misteri e le zone d’ombra. Cosa c’è veramente dietro l’uccisione di Paolo Borsellino?
Sono passati ben venticinque anni da quando la mafia ha ucciso Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta ma ancora sono tanti i misteri che aleggiano sulla strage. In molti infatti si chiedono ancora cosa accadde veramente in quel pomeriggio di luglio in via D’Amelio.
Ogni anno puntualmente in occasione dell’anniversario della strage l’Italia intera, Stato in primis, si ferma a commemorare Paolo Borsellino. La volontà però di fare piena luce sul drammatico attentato non sembrerebbe però esserci mai stata.
Cosa voleva fare intendere con le sue ultime interviste Paolo Borsellino? Perché i tanti depistaggi dopo la strage? Che fine ha fatto la famosa agenda rossa? Questi sono soltanto alcuni degli interrogativi che circondano la strage.
Vediamo allora di ricostruire cosa accadde prima e dopo l’attentato di via D’Amelio, per capire meglio il perché dei tanti misteri che riguardano l’uccisione di Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta.
Paolo Borsellino e la lotta alla mafia
Poco prima delle 17.00 del 19 luglio 1992 una Fiat 126 imbottita di tritolo esplose in via D’Amelio. A rimanere uccisi furono il magistrato Paolo Borsellino, appena uscito da casa della madre, assieme a cinque agenti della sua scorta. Si salvò solo un agente che in quel momento stava spostando una vettura poco distante.
La strage di via D’Amelio arrivò 57 giorni dopo l’altro attentato, quello di Capaci, che costò la vita a Giovanni Falcone, alla moglie e a tre agenti della scorta. In meno di due mesi di fatto la mafia eliminò i due magistrati più scomodi che da anni stavano lottando contro Cosa Nostra.
Difficile per chi ha vissuto quei giorni scordarsi del clima che si respirava nel paese. La sensazione era quella che fosse in corso una vera e propria guerra tra la mafia e la magistratura palermitana, con molti cittadini che non riuscivano a capire da che parte lo Stato si fosse schierato.
La rabbia espressa dalla folla contro i membri delle istituzioni ai funerali degli agenti della scorta prima e a quello di Borsellino poi, era un chiaro segnale del clima di tensione che serpeggiava all’epoca.
Boris Giuliano, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Ninni Cassarà, Rocco Chinnici, Antonino Saetta, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Questi sono soltanto alcuni dei carabinieri o magistrati uccisi in quegli anni per il loro lavoro di lotta alla mafia.
Al termine delle indagini condotte per ultimo dal magistratio palermitano Nino Di Matteo, si svilupparono ben quattro processi per accettare le responsabilità della strage di via D’Amelio.
Come esecutori materiali vennero condannati una serie di mafiosi di secondo piano, la cosiddetta manovalanza. Come mandanti invece vennero indicati i componenti della commissione mafiosa dell’epoca, tra cui i boss Bernardo Provenzano, Totò Riina, Filippo Graviano e Pietro Aglieri.
Accertati però chi avesse materialmente piazzato il tritolo e che avesse ordinato la strage, i dubbi maggiori però riguardano eventuali mandanti tra i colletti bianchi. Sono infatti proprio quei rapporti tra la mafia e la politica che erano al centro delle ultime indagini di Borsellino, lavoro però che il magistrato non è mai riuscito a portare a termine.
I misteri irrisolti
La domanda centrale riguardo la strage è il perchè la mafia, dopo aver ucciso Giovanni Falcone, si affrettò a far fuori anche Paolo Borsellino che stava proseguendo le indagini dell’amico. A cosa si erano avvicinati i due magistrati?
La scomparsa poi della famigerata agenda rossa dallo scenario dell’attentato, era la sorta di diario personale dove Borsellino annotava i suoi pensieri, aumenta ancora di più i misteri attorno alla vicenda.
La serie poi di falsi pentiti, depistaggi e sabotaggi alle indagini, hanno fatto più volte pensare alla presenza di una sorta di regia occulta, non legata solamente agli ambienti strettamente mafiosi, che hanno cercato di non permettere di fare piena luce sulla strage.
All’epoca della loro uccisione, Falcone e Borsellino avevano iniziato a scavare negli intricati rapporti tra la mafia, il mondo politico e quello finanziario. Non è un mistero infatti come Cosa Nostra avesse bisogno, oltre che di referenti politici, anche di esperti della finanza per in qualche modo ripulire le ingenti somme incassate dai traffici illeciti.
Nel 1993 la Procura di Caltanissetta aprì un filone di indagine per accertare eventuali mandanti esterni alla strage. Cinque anni più tardi vennero iscritti nel registro degli indagati anche Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, ma alla fine non si ebbero ulteriori sviluppi.
Nella sua ultima intervista rilasciata a Canal+ poco prima di morire, Paolo Borsellino infatti parlando degli investimenti della mafia al Nord citava una telefonata tra Dell’Utri e Vittorio Mangano, boss mafioso all’epoca stalliere di Berlusconi, che parlavano di cavalli da portare in un hotel. Secondo il magistrato quello era solo un gergo per indicare una consegna di droga.
Poi c’è tutto il tema dei depistaggi, con il falso pentito Vincenzo Scarantino che si accusò di aver partecipato alla strage tirando in ballo anche altre persone che poi, soltanto dopo molti anni, alla fine vennero scagionate.
Versione quella di Scarantino alla quale ha creduto l’ex capo della squadra Mobile di Palermo Arnaldo La Barbera, su cui gravano molti sospetti, poi smontata soltanto nel 2008 quando le dichiarazioni attendibili dell’altro pentito Gaspare Spatuzza fecero piena luce almeno sugli esecutori materiali e i mandanti mafiosi.
La strage di via D’Amelio quindi è ancora avvolta nel mistero. Una enorme zona grigia infatti oscura quelli che furono i veri motivi dell’uccisione di Paolo Borsellino, una morte questa che non dovrebbe essere ricordata soltanto una volta l’anno e che andrebbe onorata dalle istituzioni cercando in ogni modo di fare piena luce su cosa veramente accadde in quel lontano 1992.
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