In Svizzera mancano i lavoratori. Così chiudono 500 fattorie e il 28% delle imprese non trova addetti

Chiara De Carli

21 Maggio 2022 - 10:28

La mancanza di competenze e il ricambio generazionale mettono a rischio il futuro delle piccole e medie imprese svizzere.

In Svizzera mancano i lavoratori. Così chiudono 500 fattorie e il 28% delle imprese non trova addetti

Nonostante il clima di incertezza economica, il mercato del lavoro in Svizzera sembra non avvertire la crisi.
O meglio, non ha i problemi che affliggono le imprese nel resto dell’Europa.

Dati alla mano

Secondo lo studio diffuso in questi giorni dal gruppo Manpower Swisse, anche per il terzo trimestre del 2022 le prospettive occupazionali segnalano che il 28% delle aziende svizzere assumerebbe nuove risorse, se ce ne fossero a disposizione. Una previsione ottimistica che però viene accompagnata da richieste da parte delle aziende che spesso non trovano riscontro nell’offerta dei lavoratori. Cosa manca?

Le competenze tecniche e specifiche in materie informatiche, ma anche di vendita e marketing, oltre ad abilità operative e logistiche. In termini di soft skill, poi, sembrano scarseggiare resilienza e adattabilità. Ma anche virtù più basilari come tolleranza allo stress, responsabilità, affidabilità e disciplina. Paradossalmente, stando alle aziende intervistate da Manpower, è meno difficile reclutare dipendenti con competenze più particolari come apprendimento attivo e curiosità, iniziativa o pensiero critico e analitico.

Le difficoltà delle Pmi

Dallo studio emerge che solo circa un quarto delle aziende intervistate non ha problemi nella ricerca di personale. Il 60% ha alcune difficoltà, mentre il 14% lamenta grande difficoltà. A presentare i maggiori problemi sono soprattutto le realtà produttive del Canton Ticino e la Svizzera centrale. A lamentarsi della situazione soprattutto le piccole e medie imprese (Pmi), mentre le microimprese sembrano essere meno colpite.

Il problema generazionale

Una situazione, quelle delle piccole e medie imprese, che trova riscontro anche all’interno delle industrie ticinesi. Spesso il cambio generazione pone di fonte a delle situazioni che vanno contro la volontà degli stessi imprenditori: il passaggio di testimone verso i figli non avviene e costringe i datori di lavoro a trovare altre alternative radicali, vendendo la società o addirittura chiudendola. Un andamento sempre più diffuso, a maggior ragione quando le nuove leve decidono di non rilevare l’attività avviata dai propri genitori. Vedute differenti, scarso interesse o il non volere delle responsabilità sono spesso alla base delle scelte. Decisioni che tuttavia si ripercuotono poi sulla sorte di aziende e dipendenti.

A rischio anche le aziende agricole

Un fenomeno simile si sta verificando anche nelle aziende agricole svizzere. Stando a quanto ha confermato l’Ufficio federale di statistica della Confederazione, nel 2021 hanno chiuso i battenti circa 500 aziende agricole.
«Settore in crisi» verrebbe da dire. Invece no.
Se si guarda l’andamento del numero degli addetti si scopre che nel 2021 le aziende agricole svizzere hanno dato lavoro a 150.200 persone (il 12% sono stranieri), più di quante ce n’erano nel 2020 quando gli occupati risultavano 149.500.

Un lavoro difficile e a volte sacrificato, spesso schiacciato dalla burocrazia, lamentano alcuni. Questo scoraggerebbe le nuove generazioni nel proseguire con le attività storicamente di famiglia. In più il prezzo dei mangimi alle stelle, prati verdi che diminuiscono in continuazione a causa del consumo di suolo, sono tutti fattori che condizionano un giovane e che orientano verso l’abbandono della terra. Dovremo dunque rinunciare all’immagine dei prati svizzeri dove le mucche brucano l’erba felici? Speriamo davvero di no.

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