Uber è protagonista dell’inchiesta internazionale Uber files. Tra pressioni politiche e sfruttamento, emergono i nomi di Matteo Renzi e altri politici di tutto il mondo.
Le proteste dei tassisti e dei sindacati di categoria fanno da sfondo alla pubblicazione degli Uber files. È questo il nome dell’inchiesta giornalistica su cui hanno lavorato 180 giornalisti di 44 testate internazionali, tra cui l’Espresso, che ha portato a galla la situazione di sfruttamento, spionaggio, licenziamenti di massa, evasione fiscale, attività di lobby per reclutare politici e comprare i consensi e accordi con gli oligarchi e i banchieri russi.
L’Espresso scrive che Uber, per affermarsi e sconfiggere la concorrenza dei taxi, ha adottato una “un’aggressiva strategia di conquista di nuovi mercati, scontrandosi con le leggi e le autorità di controllo in diversi paesi, dall’Europa all’India, dalla Thailandia agli stessi Stati Uniti”.
Coinvolti nelle operazioni di pressione anche personaggi politici noti, come Matteo Renzi per l’Italia o Emmanuel Macron per la Francia. Ecco cosa sono gli Uber files e in che modo la multinazionale si è infiltrata nella politica di tutto il mondo.
Cosa sono gli Uber files: un’inchiesta svela i segreti della multinazionale di trasporto
L’inchiesta internazionale, che ha coinvolto 44 testate giornalistiche, inclusa l’Italia con l’Espresso, ha messo in luce i loschi segreti della multinazionale di trasporto automobilistico Uber. Gli “Uber files” sono il risultato di mesi di lavoro e di analisi dei casi dei singoli Paesi, con l’emersione e la condivisione di 124.000 documenti interni della multinazionale.
Il materiale emerso corrisponde al periodo che va dal 2013 al 2017 e comprende circa 83.000 e-mail dei manager di Uber. Sull’Espresso, che ha l’anteprima dell’inchiesta per l’Italia, si legge che:
sono quattro anni di messaggi e comunicazioni riservate che rivelano, in particolare, le pressioni su politici amministratori pubblici di decine di nazioni, per evitare procedimenti giudiziari e piegar le norme statali all’interessi delle multinazionali.
Uber files: perché è emerso il nome di Matteo Renzi
Tra i nomi dei politici coinvolti nello scambio di e-mail e sul quale è stata fatta pressione ci sono anche politici italiani come Matteo Renzi e alcuni esponenti del Partito Democratico. Matteo Renzi veniva definito nei documenti in fuga dalla multinazionale come “un entusiastico sostenitore di Uber”. Renzi venne quindi avvicinato da una serie di lobbisti e figure istituzionali come l’ambasciatore delle Stati Uniti a Roma, John Philips.
L’Espresso ha domandato a Renzi quale fosse il livello di coinvolgimento con Uber e il leader di Italia Viva ha confermato di aver incontrato l’ambasciata di Philips, ma non aver mai parlato con lui di Uber, né tantomeno di aver mai discusso di questione dei taxi e dei trasporti, che venivano invece gestite a livello ministeriale. In ogni caso il governo Renzi non ha confermato nessun provvedimento a favore di Uber e futuri particolari emergeranno nel corso delle settimane tramite le pagine dell’Espresso.
Uber files: cosa è successo negli altri Paesi
Negli “Uber files” si legge che tra il 2014 e il 2016 i rapporti tra i dirigenti di Uber e i leader politici sono stati innumerevoli, più di 100 con politici delle diverse nazioni coinvolte, tra cui 12 rappresentanti della Commissione europea. Persino l’allora vicepresidente americano Joe Biden, il capo del governo Benjamin Netanyahu, il primo ministro irlandese Enda Kenny, il presidente dell’Estonia Toomas Hendrik e molti altri hanno avuto incontri con i rappresentanti di Uber. In totale sono stati schedati oltre 1.800 esponenti della politica di mezzo mondo.
Il nome più coinvolto che emerge dall’inchiesta è quello di Emmanuel Macron, quando nel 2015 era Ministro dell’economia. Nel 2015 in Francia ci furono una serie di proteste dei taxi molto simili a quelli in Italia oggi e l’autorità di Marsiglia decisero di sospendere Uber dichiarando illegale. Il giorno dopo tale decisione (20 ottobre) il responsabile delle politiche aziendali di Uber in Europa, Mark MacGann, mandò un’e-mail a Macron chiedendogli di intervenire. Questo rispose che si sarebbe occupato personalmente della vicenda e la sera stessa a Marsiglia venne modificato il provvedimento. Il presidente francese ha incontrato altre volte i rappresentanti della multinazionale, ma non ha mai risposto alle domande sul suo rapporto con Uber. Va aggiunto che in Francia l’azienda di trasporti era, proprio in quegli anni, accusata di sfruttamento economico e di violazione delle leggi di tutela dei lavoratori dipendenti.
Uber si è ripulita: la difesa della multinazionale cade nel vuoto
Uber ha fatto sapere attraverso i suoi portavoce che l’azienda nel corso degli anni è cambiata e che oggi è stata ripulita dei vertici più loschi. Ha anche spiegato che in passato sono stati commessi errori e passi falsi, ma che oggi l’azienda è diversa. L’Espresso fa però notare che questa “legalità ritrovata” è del tutto fittizia.
Dal 2020 al 2021 un’indagine della Guardia di Finanza e della Procura di Milano ha portato alla luce, con l’accusa di shock di caporalato, la situazione di sfruttamento criminale dei dipendenti da parte di Uber Italia. Le vittime, immigrati e poveri, venivano pagati 3 euro a consegna, per un totale di 300-500 euro al mese senza contratto, assicurazione e sicurezza.
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