La Commissione congela l’aiuto da 1,5 miliardi della BEI a Kiev: troppo poco il 9% di copertura, serve il 70%. Quasi un atto di pragmatico primum vivere. Giunto dopo lo shock del surplus tedesco..
A lasciar presagire un silenzioso quanto repentino cambio di marcia, ci aveva pensato la ministra della Difesa tedesca, Christine Lambrecht, la quale ha confermato come la Germania non consegnerà mezzi da trasporto corazzati all’Ucraina. Non bisogna “saccheggiare” le risorse tedesche. Sosteniamo l’Ucraina con tutto quanto ci è possibile e per quanto è responsabile fare ma dobbiamo garantire le capacità di difesa tedesche, ha dichiarato.
Insomma, Berlino invia un segnale di freddezza. Proprio nel giorno del G20 dei ministri degli Esteri, inteso da molti come l’occasione per l’Occidente di mostrare compattezza nel boicottare la presenza di Serghei Lavrov, il cui intervento sarebbe coinciso con l’uscita dalla sala dei rappresentanti di Ue e Usa. Simboli contro atti concreti. E un secondo gesto di rinnovata cautela rispetto alla crisi ucraina è giunto nel tardo pomeriggio, quando da Bruxelles è trapelato come la Commissione Ue abbia bloccato un prestito da 1,5 miliardi di euro della Banca Europea (BEI) per gli Investimenti a favore dell’Ucraina a causa delle garanzie ritenute insufficienti, a fronte del già concreto rischio che Kiev non riesca a ripagare il dovuto ai mercati.
La BEI, infatti, aveva fissato le provisions al 9% del totale ma la Commissione, la quale opera da garante dei prestiti fuori dall’Ue, ha imposto al suo braccio finanziario di innalzarle al 70%, come già avvenuto in passato sempre nei confronti di Kiev, quando il prestito erogato fu pari a 1 miliardo di euro. Ovviamente, Bruxelles ha cercato immediatamente di archiviare l’accaduto come una vicenda meramente precauzionale e burocratica, legata alla necessità di garantire che l’Unione possa sopportare le perdite di un potenziale default di Kiev. Ma è chiaro che la questione sia politica. Ed economica.
A nessuno è infatti sfuggito come l’intero pacchetto di aiuti europei a breve termine - quelli necessari all’Ucraina per pagare salari, pensioni e altra spesa corrente - abbia già subito un drastico downgrade, scendendo nell’ultima versione a solo 1 miliardo di euro dai 9 di proposta iniziale, dopo il veto della Germania verso quell’esborso ritenuto eccessivo. Ed ecco che le solite malelingue mettono in relazione lo stop di Berlino all’invio di tanks con quanto accaduto a Bruxelles e fanno notare come la frenata nel finora entusiastico e generoso sostegno a Kiev sia giunta immediatamente dopo il dato shock sull’evaporazione del surplus commerciale tedesco. E questi due grafici
mostrano plasticamente due delle ragioni che vedono Berlino particolarmente attiva nel riequilibrare le situazioni di eccesso emergenziale in atto, sia in sede Bce che in politica energetica. Se da un lato il combinato fra recessione in arrivo e determinazione dell’Eurotower nell’intraprendere un percorso di normalizzazione dei tassi ha permesso alle aspettative inflazionistiche tedesche di crollare letteralmente al 2.09%, la seconda immagine parla altrettanto chiaro: le aspettative di prezzo del gas a 1 anno per Berlino sono tali da configurare il rischio di un’ecatombe industriale e di un profondo rosso del Pil.
Ed ecco che, quindi, certi eccessi e squilibri a favore di Kiev, proprio mentre lo schieramento dei falchi Nato perde un pezzo da novanta come Boris Johnson e Mario Draghi rischia quindi di trovarsi isolato in un mare di salvataggi di Stato del comparto energetico, dal bailout di Uniper alla nazionalizzazione al 100% di EDF in Francia, appare fuori luogo. Soprattutto alla luce di questi altri due grafici,
decisamente chiari nel mostrare da un lato come la speranza di affamare la bestia militare russa con le sanzioni stia rivelandosi vana, stante il livello di acquisti energetici di India e Cina e dall’altro come, ad oggi, il Misery Index di Bloomberg veda l’eurozona già in recessione a livello di percezione di perdita di potere d’acquisto da parte dei suoi cittadini. Addirittura a un livello superiore di quello patito dopo la crisi dei debiti sovrani del 2010-2011.
Sicuramente, quanto accaduto a Bruxelles fa capo unicamente a un sacrosanto istinto precauzionale dal punto di vista finanziario. Ma dopo tanti miliardi stanziati con grande leggerezza, la concomitanza temporale fra rinnovata cautela e tracollo delle aspettative economiche tedesche fa riflettere. Molto. Attenzione, quindi, a non farsi trovare in netta posizione di fuorigioco, se la crisi accelerasse il pellegrinaggio alla Canossa del Cremlino di qualche leader.
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