La combinazione di Covid e Brexit ha portato ad un balzo dei posti di lavoro vacanti. La mancanza di candidati non ci ha messo molto a riversarsi sulle retribuzioni.
Prima la pandemia, poi la Brexit, hanno inflitto un uno-due particolarmente violento all’offerta di lavoro.
Con l’emergenza sanitaria ed il blocco dell’attività economica, diversi lavoratori stranieri hanno colto l’occasione per tornare nei Paesi di origine. Altri, hanno rivalutato i costi-benefici, anche in termini di cura delle persone care, delle prestazioni lavorative ed in tanti hanno beneficiato degli schemi governativi (terminati a fine settembre) di cassa integrazione.
Inoltre non va dimenticato che in parecchi si trovano, perché positivi, a non poter svolgere, per periodi più o meno lunghi, attività lavorativa.
In questo contesto è arrivata la Brexit, che ha reso più difficile restare, tornare o trasferirsi nel Regno Unito (che negli ultimi anni ha anche perso di appetibilità).
Questo mix di cause ha portato l’indice che misura i posti vacanti a livelli che non si vedevano da 20 anni.
Regno Unito: indice dei posti vacanti ai massimi dal 2001
Secondo i numeri diffusi dall’Office for National Statistics (ONS), i posti vacanti nel Regno Unito tra luglio e settembre si sono attestati a 1,1 milioni di unità. Si tratta del dato maggiore dal 2001.
I settori maggiormente colpiti sono quelli legati alla ricettività ed alla ristorazione, alle attività professionali e manifatturiere. Su 100 lavoratori, quello dell’ospitalità è il settore con il numero maggiore di posti vacanti. A livello congiunturale, l’incremento maggiore è stato registrato nel comparto delle vendite al dettaglio ed in quello delle riparazioni di motocicli.
La contrazione della forza lavoro ha fatto salire il tasso di disoccupazione (dato dal rapporto tra il numero di coloro che cercano lavoro e il totale della forza lavoro) dal 4% del pre-pandemia all’attuale 4,5%.
La scarsità di lavoratori sta favorendo una crescita delle retribuzioni che, in aumento del 15-20% in alcuni settori, sta contribuendo alla risalita dei prezzi al consumo.
In media, calcola l’ONS, rispetto ad un anno fa le retribuzioni tra giugno e agosto sono salite del 6%.
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