I praticanti avvocato chiedono di essere vaccinati al pari degli altri operatori giuridici. Così hanno inviato una lettera aperta a Mario Draghi e altre cariche istituzionali. Abbiamo intervistato uno degli ideatori dell’iniziativa.
Rinvii, incertezze e scarsità di tutele alimentano le battaglie dei praticanti avvocato da un anno, ovvero da quando è iniziata l’emergenza coronavirus.
Ultima, soltanto in ordine cronologico, la protesta per l’accesso al vaccino anti-Covid, parimenti a quanto previsto per avvocati, magistrati e altri operatori di Giustizia.
Così i membri dell’associazione Co.gi.ta, a nome di tutti coloro che svolgono la pratica forense, hanno inviato una lettera aperta al premier Draghi e ai ministri Speranza e Cartabia per richiedere l’accesso tempestivo alla vaccinazione.
Ad essere violati sono due principi cardine del nostro ordinamento: quello di uguaglianza e il diritto alla salute.
Il governo ha appena preso coscienza dei rischi delle prove scritte dell’esame di avvocato (sospendendolo per la seconda volta), ed ora ci si chiede come sarà affrontato il problema dei vaccini. Lo abbiamo chiesto direttamente ad uno dei promotori dell’iniziativa: Giovanni Antonio Cannetti, presidente di Co.gi.ta.
Una lettera aperta a Mario Draghi per vaccinare i praticanti: come è nata l’idea
Non è dato sapere, per ora, se il premier e i ministri della Salute e della Giustizia risponderanno alla lettera inviata dal Coordinamento giovani giuristi italiani, ma valeva la pena tentare, dato che - secondo il presidente Cannetti - “la vaccinazione dei praticanti avvocati, come anche dei tirocinanti della giustizia e di tutti gli altri giovani impegnati in attività formative e professionali ad alta interazione sociale è particolarmente importante.”
Le motivazioni sono molteplici: da una parte il principio di uguaglianza e parità di trattamento, dall’ altro il dato evidente che essi sono esposti ad un rischio lavorativo analogo, ma in genere si spostano maggiormente sul territorio e possono determinare con più probabilità involontari focolai. Se vogliamo, c’è anche, seppur minimo, un beneficio pratico; i rischi e le difficoltà organizzative di procedure concorsuali ed esami di abilitazione, “prioritari per la ripartenza del Paese”, sono un po’ più contenuti se la popolazione concorsuale è vaccinata.
Naturalmente i praticanti sono consapevoli della loro giovane età e sono disposti a cedere il turno per favorire le categorie più fragili qualora il governo decidesse di somministrare i vaccini in base al criterio anagrafico e non più all’appartenenza a specifiche professioni.
Il problema del coordinamento tra Regioni
Altro scoglio da superare è la disomogeneità delle tempistiche di vaccinazione delle Regioni rispetto al piano nazionale. Coloro che lavorano nell’ambito della Giustizia sono stati inseriti tra le figure professionali della Fase II, ma in alcune Regioni vengono adottare iniziative e tempistiche differenziate, come è successo in Toscana, dove avvocati e altri operati di Giustizia sono stati inseriti - non senza polemiche - tra le categorie prioritarie.
L’orale rafforzato tutela davvero la salute dei praticanti?
La questione vaccini si accompagna ad un altro grande tema caro ai praticanti: l’esame di avvocato 2020. Sì perché, alla luce del secondo rinvio, ad oggi circa 26.000 candidati non conoscono né quando né come si svolgeranno le prove.
Così abbiamo chiesto al presidente Cannetti cosa ne pensa del doppio orale, che è l’opzione più papabile per conciliare l’esecuzione dell’esame con le misure di sicurezza contro il Covid:
“le sole prove orali, che siano da remoto od al limite in presenza presso locali appositi con adeguata calendarizzazione e contingentamento, appaiono oggi la soluzione più bilanciata fra gli interessi concorrenti e la fondamentale tutela del bene salute.”
Tuttavia mette in dubbio la necessità di rafforzare l’orale “in nome di una presunta selettività dell’accesso alla professione da ostentare ad ogni costo”.
Certo è che avere una popolazione di praticanti vaccinanti consentirebbe maggiore celerità e sicurezza nelle prove selettive. Dopo il flop di Bonafede, le speranze degli aspiranti avvocato sono riposte nel ministro Cartabia, la quale in più occasioni ha dichiarato “di avere a cuore il destino dei praticanti”.
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