Gli scienziati britannici hanno pubblicato un nuovo studio sulla rivista The Lancet con cui spiegano come funzionerà il vaccino di Oxford.
Il vaccino di Oxford sembra essere sempre più concreto, e mentre il mondo resta in attesa dell’antidoto in grado di debellare definitivamente il coronavirus gli scienziati rendono noto come funzionerà il vaccino. Quello di Oxford è quello più quotato per il momento al quale si aggiungono anche il Sinovac dell’Instituto Butatan in Cina e il “mRna-1273” dell’azienda biotech Moderna degli Stati Uniti. Tutti e tre stanno entrando nell’ultima fase di sperimentazione sull’uomo che permetterà di capirne l’efficacia e i possibili effetti collaterali.
Negli scorsi giorni è stata pubblicato sull’autorevole rivista scientifica The Lancet uno studio che spiega come funzionerà il vaccino sviluppato in collaborazione con l’azienda di Pomezia, che lo produrrà e lo infialerà.
Vaccino di Oxford: come funziona
Per il momento il vaccino è stato testato su circa 1.000 volontari e i risultati sembrano essere incoraggianti. Il vaccino di Oxford, noto con il nome “AZD1222” basa il suo funzionamento su un adenovirus utilizzato come “vettore virale” ingegnerizzato geneticamente con la proteina S del coronavirus, quella che gli dona la tipica forma a corona e con cui forza le cellule per infettarle. Adesso, in base ai buoni risultati ottenuti, si punta a testarlo su 10.000 persone nel Regno Unito e in altre Nazioni, come gli Stati Uniti, il Brasile e il Sudafrica.
In sostanza il vaccino produrrà degli anticorpi in grado di rendere immune il coronavirus, ma “a seconda del metodo usato per misurarli, il titolo degli anticorpi è diverso. E’ possibile che ciò avvenga perché si usano test diversi, ma sarebbe meglio che si trovasse il modo di standardizzare la misurazione”. Fa sapere Antonella Viola, un’immunologa dell’università di Padova nel corso di un’intervista per il Fatto Quotidiano.
Inoltre con molto probabilità saranno necessarie almeno due dosi per garantire all’organismo una completa immunità, come sottolinea Massimiliano Mazza, un ricercatore dell’IRST di Meldola:
“Il livello di anticorpi neutralizzanti nei volontari vaccinati è confrontabile a quello del plasma dei guariti, a 35-42 giorni e dopo due dosi del vaccino. Non si può escludere che sarà necessaria quindi una seconda dose del vaccino per ottenere una protezione efficace”.
Vaccino, è ancora necessari prudenza
Nonostante i buoni risultati che si stanno raggiungendo, gli scienziati continuano a sottolineare che è ancora necessaria molta prudenza. Per il momento la sperimentazione infatti è stata svolta solamente su pazienti a basso rischio e sani, e ancora non è chiaro se le stesse risposte immunitarie saranno rilevate anche in pazienti più a rischio, come gli anziani, gli obesi o le persone affette da patologie pregresse.
Anche sulla durata dell’immunità per il momento non ci sono certezze, tuttavia entro la fine di settembre, quando si concluderà la Fase 3 della sperimentazione dovrebbero venir chiariti diversi dubbi ancora irrisolti. Per quanto riguarda la somministrazione su larga scala si stima che avverrà nella primavera del 2021.
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