Due outsider, evitati o ignorati dalle istituzioni radicate di entrambi i partiti politici e da gran parte dei media mainstream, stanno entrando in contatto con gli elettori reali.
Chi sentenziava con un certo grado di soddisfazione che l’ondata anti-establishment che ha travolto la politica Usa nel 2016 grazie alla vittoria di Donald J. Trump si sia esaurita con la sconfitta - almeno sulla carta - di quest’ultimo nel 2020, si sbagliava di grosso.
Primo perché, nonostante l’assedio giudiziario, Trump è più combattivo che mai ed è di gran lunga il candidato repubblicano più amato secondo i sondaggi, con circa il 50% delle preferenze: secondo perché il trumpismo non finirà con Donald Trump ed è destinato a modificare per sempre il dna del partito repubblicano e oltre: ritorno all’isolazionismo in politica estera, conservatore sui temi etici, libertario in economia ma deciso a porre fine a quel processo di globalizzazione sfrenata - leggasi: delocalizzazione - che ha impoverito la classe media e arricchito solamente un’élite di pochi milionari. Ma il sentimento anti-élite, seppur in altre forme, è vivo non solo tra i conservatori ma si fa strada anche a sinistra. Come scrive The Hill, infatti, assistiamo a uno “uno sviluppo interessante verso le elezioni presidenziali del 2024. Due outsider, evitati o ignorati dalle istituzioni radicate di entrambi i partiti politici e da gran parte dei media mainstream, stanno entrando in contatto con gli elettori reali: Robert F. Kennedy, Jr. per i democratici e Vivek Ramaswamy per i repubblicani.”
Gop, l’ascesa di Ramaswamy
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