Whatsapp, email e sms sono prove legali, le regole secondo la Cassazione

Ilena D’Errico

4 Luglio 2024 - 00:12

La Corte di Cassazione è tornata sul punto e confermato che Whatsapp, email e sms sono prove legali a tutti gli effetti da usare nei processi. Ecco come e in che limiti.

Whatsapp, email e sms sono prove legali, le regole secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione si è ormai espressa svariate volte sul valore probatorio delle chat su Whatsapp, email e sms, con un orientamento ormai ben consolidato: hanno pieno valore legale e sono utilizzabili in sede di giudizio. Non c’è alcuna distinzione tra i messaggi di testo e i vocali, ma anche immagini e registrazioni sono del tutto idonee allo scopo. Da una parte, la legge riconosce da sempre un certo valore probatorio alle scritture private ed è del tutto naturale che i giudici ne propongano applicazioni al passo con i tempi moderni.

D’altra parte, il supporto elettronico fornisce anche degli elementi di maggiore sicurezza, sia rispetto alla conservazione del materiale che alla sua attendibilità. Contestare la veridicità di questa prova, ossia disconoscere, potrebbe infatti risultare più complesso rispetto ai mezzi più tradizionali.

Oltretutto, proprio di recente, la Cassazione ha confermato anche la piena legittimità del licenziamento individuale del dipendente tramite Whatsapp, valido a patto che ci siano validi elementi che ne facciano presupporre l’avvenuta consegna. Nel dettaglio, i giudici non ritengono sufficiente la spunta blu che indica il visualizzato, ma fanno affidamento su comportamenti concludenti del lavoratore. Insomma, ormai Whatsapp, email e sms sono sempre più spesso nelle aule di tribunale ed è un aspetto positivo. La possibilità di difendere i propri diritti è così ancora più efficace.

Whatsapp, email e sms come prove legali

È storica la sentenza con cui la Corte di Cassazione (sentenza n. 49016 del 2017) ha riconosciuto la piena validità dei contenuti di Whatsapp, email e sms come prove legali per avvalorare la propria posizione in sede di giudizio. Da allora, il loro uso si è fatto sempre più ampio, in particolar modo nelle cause di diritto di famiglia, per esempio per provare i tradimenti dell’ex coniuge.

Come anticipato, il mezzo telematico fornisce anche una forte sicurezza in merito, non essendo facilmente deteriorabile o contraffabile. Inoltre, la Cassazione ritiene di applicare a questo genere di prove la regolamentazione sulle prove documentali fornita dall’articolo 234 del Codice di procedura penale. Questo significa che se viene consegnato anche il supporto fisico, in questo caso lo smartphone o il pc per esempio, il documento viene acquisito nel processo. Un orientamento che è stato ormai applicato diverse volte, di recente dal tribunale di Urbino, e che rappresenta ormai un principio indiscusso.

Ciò significa che se si fornisce direttamente il telefono cellulare con le conversazioni incriminate si ha una prova (quasi) incontestabile dalla controparte, perlomeno per quanto riguarda la sua veridicità. Ovviamente, ciò non dà alcuna garanzia in merito all’esito del processo che dipende anche dal contenuto della prova stessa e dagli altri fattori concomitanti, ma facilita notevolmente il procedimento.

Il valore legale degli screenshot

Anche gli screenshot di conversazioni e immagini possono essere portati in giudizio come prove, per difendersi o avvalorare un’accusa, ma in questo caso ci si espone alla più facile contestazione della controparte. Il soggetto interessato, tramite il proprio avvocato, può infatti disconoscere la prova facendole perdere valore e rilevanza ai fini processuali.

Per ottenere questo risultato è però necessario che possa motivare in modo adeguato e convincente la propria opposizione, spiegando al giudice le ragioni per cui la rappresentazione portata in giudizio non corrisponde al vero, essendo stata prodotta artificiosamente o contraffatta. Ne consegue, che la contestazione non può essere pretestuosa, ma debitamente motivata.

La testimonianza delle chat

Altro metodo è far leggere il contenuto dei messaggi a un terzo, che poi sia disposto a testimoniare in giudizio, esponendo il contenuto della conversazione sotto giuramento, con le conseguenze penali che ne derivano in caso di dichiarazione menzognera.

In tal modo il contenuto Whatsapp entra nel processo esattamente come qualsiasi altra prova testimoniale . Tuttavia questa possibilità è ammessa solo quando si tratta di teste diretto (quindi testimone oculare dei messaggi o delle immagini) e non teste de relato.

La trascrizione delle conversazioni

La giurisprudenza ha ammesso anche la validità della trascrizione delle conversazioni contenute nelle chat Whatsapp. Tuttavia la controparte può contestare tale prova e chiedere la perizia di un tecnico circa la veridicità della trascrizione. A questo punto, il giudice di merito deve provvedere alla nomina di un tecnico d’ufficio al quale verrà consegnato lo smartphone per procedere alla verifica.

Dopo un esame accurato sia del supporto materiale che delle chat, il tecnico provvede a riportare il testo su di un documento ufficiale cartaceo, il quale diventa piena prova in giudizio.

Conversazioni altrui come prova

Finora abbiamo analizzato l’ipotesi in cui a far prova fossero chat e conversazioni a cui ha partecipato il soggetto che le porta in giudizio, ma è anche frequente che siano state ottenute dallo smartphone altrui. È proprio in questo caso che rivela maggiormente la questione degli screenshot, presumibilmente acquisiti proprio per conservare quanto appreso.

Non è necessariamente impossibile addurre come prove delle conversazioni ottenute dal cellulare (o altro dispositivo elettronico) di un’altra persona, anche perché in alcuni casi sarebbe molto difficile fare altrimenti. È però fondamentale la legge e soprattutto, come ribadito dalla Cassazione, ottenere le prove senza mettere in atto artifici, raggiri o atti violenti.

Di fatto, ci sono concrete possibilità di commettere un reato durante questa operazione, tra cui la violazione della privacy e l’accesso abusivo a sistema informatico, anche qualora si fosse a conoscenza delle credenziali di accesso o si facesse uso di software spia. Peggio ancora se si strappa di mano l’apparecchio alla vittima, oltre a commettere un atto violento, si può integrare la fattispecie del reato di rapina.

L’unico modo per portare queste conversazioni in giudizio, escludendo il consenso dell’interessato, sarebbe acquisirle quando l’apparecchio è sbloccato e incustodito. Altrimenti, non resta che provare ad affidarsi alle dichiarazioni testimoniali o, anche, alle chat con l’interessato che ammette l’accaduto.

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