Nuove disposizioni della Regione Lazio; controlli stringenti e picnic vietati per fermare l’avanzata del patogeno che sta colpendo i cinghiali italiani.
La peste suina sub-sahariana ha raggiunto nuove zone del nostro Paese. Lo scorso gennaio gli enti preposti avevano allertato ben 114 Comuni in Piemonte e in Liguria, ma gli episodi non sono rimasti circoscritti al Nord Italia; è stato individuato un caso sul territorio di Roma.
Data la pericolosità di questa malattia particolarmente letale per maiali e cinghiali, la Regione Lazio ha deciso di disporre tempestivamente un’ordinanza restrittiva per alcune attività in quella che viene definita «zona infetta».
Lo scenario nostrano è ben diverso da quello africano dove si registra un tasso di diffusione che definiremmo endemico, ma non per questo il fenomeno è meno preoccupante.
A marzo il Governo aveva già nominato un commissario straordinario, Angelo Ferrari, direttore dell’Istituto zooprofilattico di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta. Il commissario era stato chiamato proprio per intervenire e favorire il contenimento del contagio. Anche grazie alle sue parole possiamo comprendere meglio la localizzazione del probabile nuovo focolaio e le misure stringenti che riguarderanno quest’area di attenzione.
Peste suina e divieti: dove è localizzata la «zona rossa»
Il possibile focolaio della peste suina nel Lazio, secondo la Regione, è localizzato nella riserva naturale dell’Insugherata, un’area che si trova nel nord-ovest della Capitale vicino alle zone di Monte Mario, Balduina e Primavalle. La conferma ufficiale è giunta giovedì da parte di Angelo Ferrari.
Il caso romano riguarda un cinghiale ora isolato per cercare di contenere la diffusione del virus ed evitare che raggiunga gli allevamenti di maiali. Non a caso prenderanno il via anche vari controlli presso gli allevamenti di suini e altri animali che ricadono nel perimetro circoscritto dalle indagini e si definiscono aree limitrofe.
La certificazione di «zona infetta» comporterà poi diversi stringenti interventi sulle attività umane come il divieto assoluto di organizzare picnic ed eventi nel parco. Si sta provvedendo quindi alla chiusura dei varchi di accesso dal versante nord. L’ordinanza dispone questa serie di misure poiché tutto il circondario dell’«area rossa» viene identificata come «zona di attenzione» e, in quanto tale, debitamente indicata da cartelli.
Assolutamente vietato insomma dare cibo agli animali e, per allontanare e inibirne futuri accessi da parte dei cinghiali, il Comune provvederà a recintare i cassonetti dei rifiuti. Nonostante l’ordinanza della Regione Lazio ribadisca come «la malattia non è trasmissibile agli esseri umani», «è necessario comunque regolare le attività umane all’aperto che prevedendo l’interazione diretta o indiretta con i cinghiali infetti o potenzialmente infetti in quanto possono comportare un rischio per la diffusione della malattia tra maiali e altri cinghiali».
Al momento si sta procedendo con la sorveglianza rafforzata di questa specie così come al campionamento e all’analisi di eventuali carcasse con un relativo smaltimento in sicurezza.
Aree a rischio in Italia
Se volessimo risalire al primo caso di peste suina in Italia potremmo dire che il virus era stato riscontrato già nel 1967. Secondo il ministero della Salute da allora è sempre stato presente, seppur solo in Sardegna.
La prima diffusione nel continente europeo di questo nuovo ceppo della malattia invece risale a 15 anni fa. Il virus attuale fu infatti rilevato per la prima volta 2007 con focolai in Georgia, Armenia, Azerbaigian, Russia, Ucraina e Bielorussia. L’epidemia si è poi diffusa nell’UE nel 2014 con vari casi in Lituania, Polonia, Lettonia, Estonia, Belgio e Germania.
Da lì, nel 2021, il passo oltralpe. La peste che si sta cercando di eradicare attualmente con questi interventi era stata rintracciata analizzando delle carcasse di cinghiali trovati morti in provincia di Alessandria e in provincia di Genova. In tutto i casi sono stati più di un centinaio e gli esemplari facevano sempre parte della stessa popolazione che abita le zone appenniniche site tra Piemonte e Liguria.
In quel caso, per scongiurare la diffusione del virus, il ministero della Salute e quello delle Politiche agricole avevano vietato attività che avrebbero potuto causare contatti con animali infetti quali la raccolta di funghi e tartufi, la pesca, il trekking, il mountain biking. La caccia era stata messa al bando salvo quella diretta al contenimento della popolazione di cinghiali.
Un’ordinanza di marzo del commissario Ferrari aveva persino introdotto una serie di misure per «rafforzamento delle barriere fisiche» a ridosso delle autostrade A26 e A7.
I rischi per l’uomo e per l’economia
L’essere umano non è soggetto al malanno ma è considerato un “veicolo di trasmissione”: il patogeno resiste per diversi mesi anche all’interno di salumi e carne congelata. Il fattore di preoccupazione è l’alto tasso di mortalità della peste; nel 90 per cento dei casi gli animali contagiati muoiono nel giro di dieci giorni a causa di emorragie interne. Questo costituisce un serio rischio per l’intero settore di punta dell’agroalimentare Made in Italy. A rischio un fatturato di 20 miliardi, in larga parte realizzato sui mercati esteri.
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