Ecco 5 proteste nel mondo spiegate in numeri. Le manifestazioni che infiammano Libano, Cile, Hong Kong, Spagna e Iraq possono trovare una chiave di lettura numerica.
Ecco 5 proteste nel mondo spiegate in numeri. Da Hong Kong all’Iraq, passando per il Libano fino al Cile e alla Spagna, i manifestanti sono scesi in piazza per esprimere la loro contrarietà alle decisioni politiche dei propri governi.
Alcune proteste possono apparire come esplosioni spontanee di rabbia per preoccupazioni non proprio prioritarie. In realtà, tutte le principali manifestazioni di questi mesi del 2019 hanno radici profonde.
Esse sono il risultato di anni di crescente frustrazione per l’inattivismo ambientale, i problemi economici, la cattiva gestione del potere, la corruzione e la repressione governativa.
Ai manifestanti mancava solo una scintilla finale. Che, una volta esplosa, ha incendiato intere nazioni.
Le 5 proteste nel mondo di questo periodo possono essere spiegate in numeri.
Libano: 0,20 dollari
Le proteste in Libanohanno raggiunto una svolta con le dimissioni del primo ministro Saad Hariri. È improbabile, però, che questa mossa allenti le tensioni tra i manifestanti e l’élite politica, considerata corrotta e responsabile di cattiva gestione dello Stato, guai economici e problemi ambientali.
Formare un nuovo governo non sarà affatto semplice in Libano, dove vige un sistema di divisione dei poteri molto rigido e legato alle varie anime etnico-religiose che compongono il Paese.
La situazione libanese è peggiorata negli ultimi mesi, nonostante lo sforzo governativo di approvare il nuovo bilancio a gennaio ed evitare un affondo totale dell’economia.
Nel generale malcontento per il continuo stato di paralisi, però, le tensioni sono aumentate a metà ottobre quando il governo di Hariri ha proposto una tassa di 0,20 centesimi al giorno per le chiamate vocali su Internet. Sebbene la cifra appare quasi trascurabile rispetto ai problemi più ampi del Libano, la decisione è stata considerata l’ennesimo tentativo della classe politica corrotta di colpire i già poveri cittadini.
Iraq: 168/180
Le proteste stanno scuotendo l’Iraq da ottobre. Gli iracheni esprimono la loro rabbia per questioni che sembrano simili a quelle in Libano: corruzione, infrastrutture scadenti e disoccupazione.
Sebbene l’Iraq sia relativamente ricco di petrolio, circa il 50% delle sue entrate ritorna ai funzionari del governo, sospettati di usare le casse del Paese per arricchirsi e per favorire i propri sostenitori politici.
Per questo, l’Iraq risulta tra gli Stati più corrotti del mondo per l’anno 2018, secondo Transparency International. Il gruppo ha classificato l’Iraq al 168° posto su 180 nella classifica mondiale della corruzione.
Hong Kong: 500 miglia
Giunto al suo quinto mese, il movimento di protesta di Hong Kong non ha mostrato segni di cedimento. Per alcuni analisti, la longevità delle manifestazioni di massa - che attirano ancora regolarmente centinaia di migliaia di persone in piazza - è radicata nel timore che le libertà di esprimere il malcontento potrebbero presto essere drasticamente ridotte, a causa del controllo di Pechino.
Il sospetto la Cina stesse cercando un modo per reprimere l’autonomia politica ed economica del territorio sin da quando la Gran Bretagna ha ceduto il suo controllo nel 1997, si è concretizzato a febbraio del 2018. A 500 miglia di distanza da Hong Kong.
Un caso di cronaca nera avvenuto a Taiwan, infatti, ha acceso i riflettori sulla legge di estradizione di Hong Kong. La decisione della governatrice Carrie Lam di approvare emendamenti a favore dello spostamento di sospettati accusati di crimini gravi da Hong Kong in Cina ha fatto esplodere le proteste.
Cile: 0,04 dollari
Le proteste in Cile sono esplose a seguito della decisione di aumentare di 4 centesimi le tariffe della metropolitana. Un motivo che può sembrare banale, ma che ha scatenato la rabbia dei manifestanti contro le carenze nei servizi pubblici ed il forte livello di disuguaglianza sociale.
Il successo economico della nazione cilena, considerata un’oasi nel quadro dell’America Latina, si è tradotto in maggiore povertà per mancanza del welfare per molta parte della popolazione.
Spagna: 92%
I manifestanti spagnoli sono scesi nuovamente nelle strade della Catalogna nel fine settimana, dopo giorni di violenti scontri nella regione nord-orientale della nazione.
La frustrazione per la mancata indipendenza della regione catalana è il vero motivo delle continue proteste, in una settimana delicata per la Spagna, chiamata alle urne per scegliere un nuovo governo.
Le radici della rabbia affondano nell’ottobre 2017, quando gli ex leader catalani hanno indetto un referendum sull’indipendenza della Catalogna. Solo il 43% degli elettori registrati è andato a votare, ma di questi, la stragrande maggioranza - il 92% - ha sostenuto una separazione dalla Spagna. Negata dal governo centrale perché considerata contro la Costituzione.
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