Dal peso argentino alla lira turca, le valute dei mercati emergenti stanno subendo colpi molto duri. Quali sono le conseguenze e su chi pesano maggiormente?
Le più recenti sofferenze di Argentina e Turchia sono solo l’ennesimo riverbero del caos che ha colpito quest’anno i mercati emergenti. Peso argentino e lira turca sono al collasso sotto la pressione di una serie di elementi, tra cui spiccano l’aumento dei tassi USA, gli scontri politici e la guerra commerciale.
Tutte circostanze in grado di rendere sempre più fragili gli EM, in particolare per quel che riguarda i Paesi con una forte dipendenza dai finanziamenti degli investitori stranieri.
I timori per le situazioni di Argentina e Turchia hanno spinto gli investitori ad abbandonare anche altri mercati di economie considerate vulnerabili.
Come riflesso, qualche giorno fa la rupia indonesiana è precipitata al livello più basso di 20 anni rispetto al dollaro, registrato durante la crisi finanziaria asiatica del 1998.
Sono quindi cinque le principali economie in via di sviluppo nel mondo che sentono avvicinarsi con sempre maggiore intensità gli echi del crollo dei mercati emergenti:
1) Turchia
La valuta della Turchia è stata colpita da un potente mix fatto di contrasti ai vertici governativi, politica economica confusionaria e poco costruttiva e rialzo dei tassi USA. La lira ha perso più del 40% rispetto al biglietto verde da gennaio.
Molte società turche hanno cercato di abbassare i loro costi negli ultimi anni tramite prestiti in valute estere, ora estremamente difficili da ripagare.
Il Presidente Erdogan ha portato fino quasi allo sfinimento gli investitori, resistendo alle richieste di rialzo dei tassi volte a mettere un freno all’inflazione.
Secondo diversi analisti il danno che ne è scaturito è già ben rilevabile dagli attuali dati economici. Il crollo della lira ha peggiorato di colpo le situazioni finanziarie di cittadini e aziende turche, colpendo duro sulla spesa dei consumatori e sulla fiducia delle imprese.
Per Jason Tuvey, economista dei mercati emergenti di Capital Economics, l’economia turca sta al momento attraversando una fase di recessione profonda.
2) Argentina
Il peso argentino ha perso più della metà del suo valore rispetto al dollaro da inizio anno.
Il forte movimento al ribasso di inizio settimana - con il nuovo minimo storico toccato nei confronti del biglietto verde - ha seguito la mossa dello stesso Presidente, Mauricio Macri, che ha chiesto al FMI di accelerare i finanziamenti del piano di salvataggio da 50 miliardi di dollari concordato a giugno, per portare benefici alla situazione non idilliaca del Paese.
Giovedì la banca centrale argentina ha alzato i tassi di interesse dal 45% al 60%, garantendo di lasciarli invariati almeno fino a dicembre. Il tutto nel tentativo di scoraggiare il sell-off del peso.
Eppure il provvedimento non è riuscito ad arginare il collasso della valuta.
Quasi il 70% del debito pubblico argentino è in valuta estera secondo Moody’s. Questo significa che per il Paese diventa sempre più difficile riuscire a ripagarlo.
Tanto che a preoccupare maggiormente analisti, osservatori e gli stessi trader è il rischio di inadempienza al quale Buenos Aires potrebbe andare incontro, con una sempre più difficile stabilizzazione del deficit e lo spettro della terribile crisi del 2001 che turba il Paese e i mercati.
3) India
Venerdì la rupia indiana ha toccato il nuovo minimo storico contro il dollaro. Il crollo rappresenta solo uno dei tenti elementi hanno contribuito al tracollo attuale dei mercati emergenti. La valuta segna un calo di quasi il 10% dall’inizio dell’anno nei confronti del biglietto verde.
Tuttavia, l’economia indiana non mostra ancora grossi segni di debolezza. Attualmente è infatti quella che porta avanti la crescita più rapida; ma gli ostacoli all’orizzonte sono tanti.
Basandosi prevalentemente sul settore energetico, il Paese non può che collocarsi al momento in una posizione vulnerabile visto l’aumentare del prezzo del petrolio.
Altri fattori in grado di pesare sulla rupia indiana sono la guerra commerciale e l’innalzamento dei tassi USA.
4) Brasile
Il caos politico ha pesato non poco sulla valuta del Brasile, il real, che dall’inizio di gennaio segna quasi un -20% rispetto al dollaro.
Gli investitori sono preoccupati soprattutto dall’esito delle elezioni presidenziali, in programma a ottobre. Sperano nell’elezione di un leader in grado di portare grandi riforme finanziarie per ridurre il grave deficit del Paese.
Ma i sondaggi recenti mostrano una netta preponderanza dell’elettorato per candidati di sinistra come l’ex leader Inacio Lula da Silva (che il tribunale ha sentenziato incandidabile), cosa che agita mercati e osservatori.
Secondo Gustavo Rangel, economista di ING, la banca centrale del Paese ha molte munizioni sotto forma di riserve in valuta estera per combattere un’ulteriore debolezza del real, qualora necessario.
La valuta del Brasile risulta indebolita anche dallo sciopero dei camionisti a inizio dell’anno, circostanza che ha fatto salire l’inflazione e ha messo in stallo la crescita economica.
5) Russia
Il rublo ha subito un vero e proprio sgretolamento negli ultimi mesi di fronte alle sanzioni economiche, segnando un -15% rispetto al dollaro dall’inizio dell’anno.
La Russia è stata schiacciata per anni dalle sanzioni occidentali, che sono state imposte per il suo coinvolgimento nel conflitto in Ucraina.
Altro elementi in grado di pesare non poco sulla valuta è la vicenda relativa al tentato omicidio di un ex agente russo.
Gli Stati Uniti hanno già messo in campo le loro ripercussioni economiche contro diverse società del Paese.
In più, anche la Russia è stata colpita dalle tariffe USA su acciaio e alluminio e diversi investitori temono l’arrivo di ulteriori dazi e interdizioni in futuro, comprese misure rivolte alle banche e alle società energetiche.
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