Bugie, tattiche e verità allarmanti: la distruzione dei pozzi petroliferi sauditi nasconde strategie e inganni. USA, Iran e Arabia Saudita si giocano un’importante e pericolosa partita. Analizziamo alcuni aspetti geopolitici.
Inganno e bugie sono alla base dell’escalation di tensione dopo gli attacchi ai siti petroliferi sauditi. Questa è la convinzione di Javad Zarif, Ministro degli Esteri dell’Iran. Il quale, a nome del Paese, continua a negare il diretto coinvolgimento nel lancio distruttivo dei missili.
In vicende così complesse e localizzate in territori geopolitici caldi, come il Golfo Persico, le verità nascoste o le bugie rivelate come inconfutabili evidenze fanno parte delle strategie interne e internazionali. Le parole del Segretario di Stato Pompeo vanno lette proprio in questa prospettiva. Quando afferma che tutto quello che dicono i membri della fazione Houthi è irreale e falso, vuole proprio screditare una tesi che - reale o no - non sarebbe congeniale agli interessi degli USA. Indiscutibile è stato, quindi, l’appoggio dato al Ministero della Difesa saudita quando ha mostrato al mondo i rottami dei droni, evidenziandone la provenienza iraniana.
Non bisogna credere agli yemeniti, quindi, bugiardi smascherati. Anche se a dirlo è Pompeo, guidato dal Presidente Trump che, al centesimo giorno di attività, aveva già collezionato circa 12.000 dichiarazioni false secondo quanto contenuto nel database de The Washington Post. Mistificare la realtà non è poi così nuovo per gli Stati Uniti, entrati in guerra contro Saddam Hussein mostrando discutibili immagini satellitari su armi di distruzioni di massa.
Anche la storia dell’Iran racconta di pericolose bugie dette quando nascondeva siti nucleari. Convincendosi, poi, nel 2015, a sedersi ad un tavolo per un accordo. Così oggi è difficile credere che gli iraniani siano proprio estranei alla mossa contro il petrolio saudita. L’arsenale di Teheran è potente, comprende missili in grado di colpire fino a 2500 km di distanza superando i confini nazionali. Molto avanzate sono anche le capacità belliche di ultima generazione cyber.
Che gli Houthi siano pienamente responsabili della distruzione dei pozzi petroliferi sauditi può essere una bugia strategica, ma è una realtà che essi stanno aumentando i legami tattici con gli iraniani nel complicato scacchiere della guerra yemenita.
Per ora la verità è che nessuno vuole andare in guerra. Lo hanno affermato sia dall’Iran che dagli Stati Uniti. Massima allerta, ma nessun attacco armato. Almeno in apparenza.
Il regno saudita è debole e questa non è una bugia
Nulla poteva fare il potente e sofisticato sistema militare saudita per difendersi dagli attacchi petroliferi? Pare di no. E questa sembra una realtà innegabile. Questa circostanza mette in luce l’allarmante novità della guerra in corso nello Yemen: ci sono punti fragili facilmente attaccabili e con conseguenze nefaste per il mondo.
Gli esperti ribadiscono che l’’Arabia Saudita non è equipaggiata per proteggersi dall’aumento di minacce a basso costo e a bassa tecnologia come i droni. Il regno ha speso miliardi negli ultimi anni in missili terra-aria Patriot fabbricati negli Stati Uniti, progettati per abbattere obiettivi volanti come getti nemici o missili balistici. I droni e i missili da crociera, però, volano molto in basso e sfuggono all’intercettazione dei radar. Anche il posizionamento degli intercettatori non è stato congeniale al captare in tempo la minaccia missilistica.
Ecco una pericolosa verità. L’attacco è nuovo e poco difendibile. Anche gli impianti di desalinizzazione che forniscono acqua potabile alla maggioranza della popolazione saudita sono ad alto rischio. Così come impianti elettrici, raffinerie, oleodotti.
Quello che si teme, quindi, è una guerra tecnologica a strutture funzionali vitali per il Paese e la sua economia.
L’Arabia Saudita ostaggio degli USA: ecco un’altra verità scomoda
Uscire da soli da questo stallo politico è impossibile per i sauditi. Le sorti dell’Arabia Saudita stessa sembrano più che mai legate alle successive mosse di Trump e alle risposte iraniane.
Per gli USA la realtà è mistificata dall’Iran che vuole solo aumentare il suo prestigio nell’area e far crescere la tensione. Trump mira proprio a far scoprire il lato più minaccioso di Teheran, continuando con la pressione delle sanzioni economiche e abbandonando il tavolo negoziale aperto da Obama.
Nel mezzo c’è l’Arabia Saudita. E questo svela un’altra verità: la politica estera di un Paese difficilmente è frutto solo dello Stato interessato. Tanti gli intrecci geopolitici e di interesse economico. Ecco perchè Ryadh potrebbe sentirsi, a ragione, ostaggio delle sanzioni economiche su Teheran manovrate dagli USA. L’Iran punta proprio ad allentarle.
Questa strategia dell’alta tensione porterà a nuovi attacchi o spingerà verso soluzioni diplomatiche?
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