L’esame di abilitazione con test a crocette divide e fa discutere: ecco perché secondo molti avvocati (e non solo) è inappropriato e offende la dignità della professione.
La proposta di legge che modifica radicalmente le modalità di accesso alla professione di avvocato non piace a tutti; anzi c’è una larga fetta di avvocati, praticanti e studenti fortemente contraria al quiz a crocette.
Se entrasse in vigore, si andrebbe a cambiare in maniera radicale l’esame di avvocato che fino ad ora è stato composto da tre prove scritte (parere di civile, penale e atto giudiziario) e una orale su diverse discipline. Una modalità molto contestata a causa della bassa percentuale di promossi, dei lunghi tempi di attesa per la pubblicazione degli esiti e della correzione spesso “discrezionale” e poco meritocratica.
Tuttavia secondo l’Unione Nazionale Avvocati Enti Pubblici (Unaep) il quiz a crocette a risposta multipla offende la dignità e la complessità del lavoro dell’avvocato, equiparando l’esame di abitazione ad un test d’ingresso universitario o ad un concorso pubblico.
L’Unaep, però, non nega le criticità del sistema vigente e la necessità di intervenire per migliorarlo, ma non con un test a crocette come vorrebbe il ddl presentato dalla senatrice Lonardo.
Esame avvocato con test a crocette: cosa ne pensano i contrari
La riforma dell’esame di avvocato è un argomento che da anni genera diatribe e battaglie ideologiche. Chi sostiene l’obiettività del test crocette (come avviene in molti altri Paesi europei) e chi, dall’altro lato, pensa che sminuisca il valore della professione forense. Quello che è certo è che il sistema di promozione degli avvocati è “ingolfato” e che qualcosa andrebbe corretto.
In Commissione Giustizia del Senato è in discussione una proposta che prevede:
- un test a crocette con 90 domande a risposta multipla (per essere promosso servono 70 risposte corrette);
- correzione tramite lettore ottico;
- due sessioni annuali;
- eliminazione della prova orale.
Insomma, una vera e propria rivoluzione delle regole adottate fino ad oggi. Ma ecco che spuntano i primi contrari, tra cui i membri dell’Unione Nazionale Avvocati Enti Pubblici (Unaep); forti le parole della presidente Antonella Trentini secondo la quale ridurre l’esame ad un quiz “è offensivo per la categoria oltre a non rispettare il ruolo di una professione che è tutelata dalla Costituzione italiana”. Ma cerchiamo di capire il perché.
I test a crocette nascono e servono per reclutare personale nei concorsi pubblici, come metodo di scrematura in presenza di moltissimi partecipanti e numeri di accesso predefiniti. L’esame di avvocato, invece, ha natura e scopo ben diversi dalle procedure concorsuali: serve a verificare le conoscenze acquisite nel tirocinio post-laurea e ad “accertarne l’idoneità all’esercizio della professione forense.”
In altre parole, l’esame a quiz senza prova orale sarebbe completamente avulso dalla verifica delle capacità indispensabili per la professione in ambito civile, penale e amministrativo.
Come dovrebbe cambiare l’esame di avvocato?
Non ci sono dubbi, secondo l’Unione nazionale avvocati il test a crocette non può essere la soluzione per risolvere le criticità vigenti. Quello che, invece, l’associazione propone è una prova scritta funzionale a dimostrare la capacità di redigere un atto processuale (introduttivo o difensivo in primo grado o in appello) e come prova orale la discussione di una causa estratta a sorte fra le materie indicate dal candidato.
In questo modo si riuscirebbe nel duplice scopo di dimostrare le capacità forensi e agevolare la correzione snellendo i tempi di attesa.
Qualche cenno sull’Unaep
Questo articolo nasce dal comunicato stampa dell’Unione Nazionale Avvocati Enti Pubblici in risposta alla proposta di legge che modifica radicalmente la legge n. 247 del 31 dicembre 2012 in materia di accesso alla professione forense e all’esercizio della professione. Nata nel 1971, ad oggi l’Unaep conta oltre 900 iscritti ed opera in tutta Italia per mezzo di sedi e diramazioni regionali. In questi anni è stata in prima linea nell’erogazione della formazione forense d’intesa con il CNF e la Scuola Superiore del CNF nonché con gli organi parlamentari riguardo all’articolo 23 della riforma forense in materia di indipendenza e autonomia della professione.
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