Il Portogallo salverà l’ottava banca del Paese a carico dei contribuenti. Vi è un’analogia con il salvataggio delle 4 banche italiane fallite e con il caso passato di MPS.
Anche il Portogallo, dopo l’Italia, sta correndo ai ripari per mettere a posto il sistema bancario nazionale. L’ottava banca del Paese, il Banco Internacional de Funchal (Banif) verrà salvata attraverso un’operazione di risoluzione.
Lo Stato portoghese si farà in gran parte carico del salvataggio della banca, caso diverso dalle 4 banche italiane interessate dal decreto salva-banche. Nell’operazione di rifinanziamento di Banif vi è un’analogia con quella dei quattro istituti falliti italiani, salvati tramite decreto governativo.
Portogallo: la storia del caso Banif, lo Stato detiene il 60% dell’istituto
Il Portogallo, come l’Italia, si sta adoperando per salvare l’ottava banca del Paese prima che entri in scena il famoso Bail-in imposto dall’Unione Europea. Lo Stato lusitano dovrà sborsare €1,77 miliardi su €2,25 miliardi previsti per il salvataggio. Questo caso ha una similitudine con quello delle 4 banche italiane fallite interessate dal decreto salva-banche.
Prima di entrare nel dettaglio del salvataggio di Banif, occorre descrivere la storia della banca portoghese. Banif è l’ottavo istituto del Paese che concentra gran parte della sua attività a Madeira e nelle Azzorre. L’istituto portoghese possiede anche delle attività all’estero in Paesi quali Malta, Brasile e Capo Verde oltre che in altre località offshore.
Nel 2013, anno di profonda crisi per l’economia portoghese, lo Stato lusitano è stato costretto a intervenire per salvare Banif dal fallimento. Il salvataggio di Banif, all’epoca, costò allo Stato portoghese circa €1,1 miliardi (diventando così azionista al 60%).
Di questa cifra, €700 milioni furono stanziati per acquistare azioni emesse da Banif mentre altri €400 milioni furono adoperati per l’acquisto di titoli ibridi emessi sempre dalla banca lusitana.
Nel 2013 la Commissione Europea approvò il salvataggio, chiedendo però un adeguato piano di ristrutturazione della banca. I dubbi sollevati dal piano presentato, fecero in modo di far aprire un’inchiesta da parte della Commissione Europea nel Luglio 2015.
In seguito a numerosi tentativi, poi falliti, di risanamento di Banif, 4 giorni fa è arrivata la decisione della banca centrale portoghese che ha deciso di avviare la procedura di risoluzione. Risoluzione approvata anche dalla Commissione Europea, ben consapevole che Banif non potrà tornare autonomamente alla redditività.
Portogallo, Banif: l’operazione di salvataggio nel dettaglio e l’analogia con 2 casi italiani
L’analogia con le 4 banche italiane fallite si trova proprio nel piano di salvataggio messo a punto dalla banca centrale portoghese.
La differenza principale sta nella composizione dell’azionariato di Banif, di cui lo Stato, dopo il salvataggio 2013, è diventato maggiore azionista con una quota del 60%.
Questo fa in modo che l’intervento statale sia permesso, cosa che invece non è stato possibile nel caso delle 4 banche fallite nostrane. Tuttavia, il piano di risoluzione è molto simile a quello previsto per il caso italiano.
Infatti, Banif verrà scorporata in due differenti veicoli finanziari: una good bank ed una bad bank:
- Nella good bank verranno convogliate tutte le attività sane dell’istituto portoghese. Il veicolo “sano” sarà poi ceduto al ramo portoghese di Banco Santander per una cifra di €150 milioni.
- La parte invece deteriorata di Banif finirà in una bad bank, finanziata principalmente dallo Stato portoghese per un importo pari a €1,77 miliardi e da un fondo di risoluzione che verrà alimentato tramite il finanziamento delle altre banche portoghesi per una cifra pari a €489 milioni.
La similitudine con il salvataggio di Carife, Banca Marche, Carichieti e Banca Etruria è proprio in questi ultimi due punti. Proprio come per le banche del Bel Paese, verranno costituiti due veicoli separati contenenti la parte sana dell’istituto e la parte deteriorata.
La parte sana viene venduta ad un acquirente, come nel caso delle 4 banche fallite, mentre la parte deteriorata verrà prima svalutata ulteriormente e poi rivenduta anch’essa.
L’utilizzo di veicoli finanziari ad hoc sta diventando sempre più di moda in Europa. Nel Vecchio Continente sembra che ci si stia muovendo per salvare quegli istituti di credito in crisi, prima che intervenga la scure del Bail-in il quale entrerà in vigore negli ordinamenti dei singoli Stati dell’UE (che abbiano aderito) a partire dal Gennaio 2016.
Il caso Banif, per la larga partecipazione statale nell’azionario, si avvicina forse più al caso di MPS. In MPS infatti, lo Stato è il secondo azionista di maggioranza con una quota del 4%, nettamente inferiore a quella detenuta dallo Stato portoghese in Banif, ma comunque molto rilevante se confrontata alla composizione dell’azionario di MPS che è molto frammentato.
In entrambi i casi, la cosa sicura è che lo Stato, con i suoi contribuenti, si è dovuto far carico del salvataggio dell’istituto a rischio fallimento. Cosa che, in futuro, non potrà più avvenire con l’ingresso sulla scena del Bail-in.
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